martedì 8 settembre 2009

Si chiude...


Dopo 7 mesi di vita LATINOAMERICANI chiude. Finito il viaggio, questo viaggio, finisce il relativo blog. Dopo aver viaggiato e scritto, dopo aver condiviso ed essermi vantato, a volte vergognato, dopo aver offeso qualcuno, dopo aver cercato di capire perchè si scrive, perchè scrivo, anche se pochi ti leggono. Fortunatamente qualcosa ho capito, ma non è materiale da blog. Me lo tengo per me. Intanto saluto tutti coloro che hanno letto e apprezzato i mille svarioni letterari prodotto della mia mente a volte ingovernabile e della sua trance da tastiera. Quindi grazie a tutti, a Nicola in primis, che nel blog non ha scritto lasciando a me lo spazio di cui forse avevo bisogno per capire e ridimensionare il mio ego, i miei pregi, i miei difetti, i miei complessi, i miei dubbi e le mie paure.

venerdì 4 settembre 2009

Bentornato, Alessandro


Arrivo a Madrid. Quasi casa. Mentre io imbarco nonostante tutti gli stupidi divieti e nonostante tutti gli scanner ultramoderni del mondo una bottiglia di alcool medicinale infiammabile, mia unica arma a portata di mano per sconfiggere un acaro che si è impossessato delle mie natiche e prude a bestia, il signore davanti a me, tutto paonazzo, arrabbiato, confuso, frustrato e triste sbraita mentre gli sequestrano il succo di frutto. Così è la vita. Appena metto piede sull'aereo riconosco intorno a me tante facce di connazionali vacanzieri di ritorno dalla spiaggia all/inclusive al grido "tanto famo come cazzo ce pare perchè già amo pagato". Un signore pelato, sui 40 anni e pieno di catene d'oro intona in dialetto romanesco ordini telefonici al suo camerlengo viceRe e gli dice "ce vedemo fra dù ore che ora m'embarco". La sua ragazza, silente, vuota, vacua e inutile si annoia 30 centimetri più in là. Anch'ella piena d'oro, nessuna traccia di fede. All'atterraggio a Fiumicino puntuale come un orologio svizzero falsificato in Romania giunge l'applauso stile sharm&sheik "anvedibbravo sto piloto". Rido e sorido, pensando alle mille manifestazioni soralellesche di romanità verace che al contrario di queste adoro con tutto me. Si prosegue. Alessandro, stai tornando, non sei felice? Quando scendo dall'aereo schivo fischiettando il cane antidroga della finanza che anche se sei pulito come il culo di un bebè ti senti colpevole uguale e c'hai paura. E loro lo sanno, sadici nazisti. Arrivo ai nastri restituzione bagagli e di fronte a me si apre un girone dantesco fatto di centinaia di facce di stranieri incolpevoli e allucinati che pensano "ma se l'Italia è così bella perchè fiumicino fa così schifo?". Faccio spallucce e mi inoltro nella bolgia sicuro che come sempre nei miei quasi 200 voli avrò culo. E infatti ho culo. Nel tempo record di 10 minuti vedo apparire il mio zaino da 23 kili e la mia borsa finto adidas con 10 kili di responsabilizzante cultura. In caso di perquisa verrò trattenuto come sospetto comunista/hippie/intellettualedemecojoni. Troppi libri. Ma fischiettando schivo l'ultimo posto di controllo dove gli intelligenti finanzieri preferiscono esercitare la loro testosteronica autorità controllando le borse delle badanti ecuatoriane invece di cercare i doppi fondo nelle 24ore di presunti manager troppo abbronzati e sempre al telefono. E' la vita. Avanti. Dopo un tragitto interminabile fino alla stazione di fiumicino in cui sfioro sette volte l'infarto gravato come sono da 50 kili di chincaglierie compro il biglietto per Termini e anche il ticket per l'eurostar. Mezz'ora di differenza fra l'arrivo del Leonardo Express a Termini (ore 20) e la partenza dell'ES per Firenze (ore 20.30) sarà un tempo sufficiente per garantire la riuscita del mio diabolico piano. Il Leonardo Express di questa ceppa naturalmente sembra il regionale per Bibbona, parte, si ferma, riparte, apre e chiude porte, sbuffa, agonizza e riparte ancora. E non arriva mai. Inizio a sudare. Un'ecuatoriana badante a cui hanno perquisito la borsa in cerca di cocaina mi presta il cellullare per avvertire mammà che son vivo e nelle mani delle ferrovie (e di Dios). Nonostante quest ultimo non rassicurante dettaglio è felice, mammamia. Arrivo a Termini con 15 minuti di tempo per raggiungere il lontanissimo EuroStar. Corro, striscio, sudo, muoio e risorgo. Fino a mettere le mie pesanti membra sul sedile dell'agognato treno. Già inizia a serpeggiare dentro di me il dimenticato odio per il BelPaese. La gioviale conversazione con un bengalese che vive in Casentino (le coincidenze della vita) mi fa passare meglio il viaggio. Con un orecchio interpreto Ahmmad e con l'altro sono costretto ad ascoltare l'insulsa conversazione implacabile di un gruppeto di tronisti di mariadefilippi, quell'essere. Giuro, lo giuro. Reduci dalla registrazione di non so che puntata di non so che cazzo di orribile programma pomeridiano mediasettico non fanno altro che parlare di TV, fama, comparsate, rimborsi spese, fighe, discoteche, hotel, capelli, lampade solari. Su puta madre. Uno dice essere "responsabile dei personal trainer" di non so che schifo di palestra. Wow. Fra tatuaggi, piercing, addominali scolpiti, lampade full-body, gelatina, occhiali di Dolce&Gabbana, scarpe del cazzo e creme antirughe, a 20 anni a questa gente gl'è evaporato il cervello. E a quanta altra ancora? Affondo ancora di più la testa nella gazzetta gentilmente offerta da trenitalia. Una settimana fa ero nella selva amazzonica circondato dall'abbraccio protettivo della Natura. Ma nonostante tutto, son felice. Bentornato in ITALIA, Alessandro. Bentornato a casa.

sabato 22 agosto 2009

M'informo e mi deformo


Mentre gli esperti della scientifica americani col ciuffo pettinato alla CSI riconoscono il cadavere della playmate Jasmine Fiore dal numero di serie delle sue tette (ogni protesi ha un codice di riconoscimento) e acciuffano il sanguinario marito colpevole in fuga verso il Canada, un gruppo di italiani chissà solo invidiosi o forse semplicemente stufi tentano di linciare Corona purtroppo senza molto successo. Spulciando bene la homepage di Repubblica si riesce a incontrare una notizia di poco conto, giustamente relegata in basso che più in basso non si può, il cui titolo recita: "CIA, in un rapporto interno le prove delle torture", 9 laconiche righe. Del resto non è proprio uno scoop. Continuando nel tunnel dell'orrore dell'informazione on-line dei 2 più grandi quotidiani italici si può apprezzare la notizia della vittoria dell'Italia del cricket composta per la maggior parte dai figli di immigrati Cingalesi, Bengalesi, Indiani e Pakistani ormai battenti bandiera tricolore. E la dedica della squadra al gioviale Bossi e al suo gruppetto di simpatiche canaglie. In tutta risposta la lega vieta la vendita del cumino nel comune di Trabaseleghe, Veneto. Intanto, in un impeto adipo-discriminatorio easy-jet vieta il check-in a una signora sovrappeso inaugurando l'era della pesa dei passeggeri nei voli low-cost. D'ora in poi si dovrà introdurre l'ammontare dei propri kili corporei all'atto dell'acquisto del ticket on-line, senza inutili umilianti bugie. Per fortuna a salvare il lettore dall'inevitabile noia dovuta alla lettura di notizie di ordinaria italica discriminazione ci pensa Veronica Lario, la first lady, che a differenza della maggioranza del popolo italiano non può accettare l'esilarante compagnia di un uomo dichiaratamente frequentatore di minorenni e di puttane, ma anche di puttane minorenni oltre che di imprenditori dalla fedina penale "chiacchierata" e da presunti spacciatori di "cavalli" dall'accento siciliano e non. Insomma, io non capisco cosa ci sia di male in tutto questo. L'Italia mi annoia, questa Italia che non capisce quanto il nostro Presidente sia in realtà un martire, una vittima della persecuzione comunista orchestrata ai suoi danni per decenni da invidiosi burocrati rosso vestiti, un'Italia che a differenza di Graziana Capone non vede nell'uomo più potente d'Italia una figura cristologica sempre dedita alla penitenza, alla redenzione, al perdono, alla carità. "Silvio come Gesù, io forse la nuova Veronica" dice la signorina Capone che non condivide la minore età con Noemi Letizia ma si condivide altre utilissime qualità e talenti. Ripresomi dalla commozione dovuta alle illuminanti parole della Capone mi ributto sul Corriere che ci mostra un Gheddafi felice accogliere fra le sue braccia il rientrante 007 Megrahi dal suo tour a Stonehange e un coro di "OOOHHHH" scandalizzati accolgono questa ennesima dimostrazione della cattiveria del lider libico che fino ad oggi tutti, evidentemente, consideravano un santo, oltre ad apprezzare il gusto estetico del dittatore per le tuniche. Gli indici di popolarità di Brown toccano conseguentemente livelli negativi mai visti prima nella storia della politica mondiale. A lui, del resto, non piacciono le minorenni. Per fortuna, mentre per sbaglio mi imbatto e leggo la notizia che i talebani "mutilano 2 elettori" (solo 2?? ma che vuoi che sia...) mi rallegro enormemente di sapere che un maledetto bastardo malparido hijo de puta ha vinto spendendo 2 euro la bellezza di 146,8 milioni. Ormai le vincite della lotteria sono l'ultima dimostrazione del funzionamento del capitalismo, e quest'uomo fortunato, probabilmente anch'egli pederasta, da oggi potrà smettere di preoccuparsi delle nostre disgrazie terrene pensando solo ed unicamente a spendere, anche se il peso dell'invidia nazionale lo costringerà a camminare sempre con le mani sulle palle per esorcizzare i milioni di accidenti che lo raggiungeranno da qui alla prossima vincita ultramultimilionaria, quando un altro malparido raccoglierà il testimone e si convertirà per un breve periodo nell'uomo invisibile più odiato d'Italia, facendo dimenticare a tutti, per un pò, di odiare qualcun altro.

sabato 15 agosto 2009

La Guerra dei Mondi


Fra tette al silicone e tradizioni millennarie, l'America si trova schiacciata nella morza di un progresso che le regala solo malefici. Come dice tristemente Galeano, il progresso é un viaggio con piú naufraghi che naviganti, essendo piú le barché che affondano gravate dagli effetti collaterali dell'occidentalizzazione forzata, di quelle che arrivano in porto scaricando passeggeri sani, salvi e felici. Cartagena, capitale del Mar del Caribe, il mare degli incontri, incontri di culture e scontri di razze, é un pó la capitale di questo fenomeno apparentemente inarrestabile. Al fascino indiscutibile delle vestigia coloniali, che restano di per sé simbolo di disgrazia e sfruttamento, contrappone lo scintillio immancabile dei centri commerciali. E accanto a uno dei piú vecchi e rappresentativi locali di salsa della cittá, Donde Fidel, spunta insinuante l'Hard Rock Café, dalle cui vetrine idiote cameriere emo-vestite invitano il turista e il viaggiatore a dimenticare in che paradiso si trovano per intraprendere il viaggio verso il non-luogo globale della catena occidentale, tentando di distrarre la gente dal pericoloso e ispiratore fascino prodotto dalle meraviglie della cittá. E poi tette. Tette, tette, tette. Nell'ossessione latina di importazione statunitense per la chirurgia estetica, che ormai molti dimenticano essere una "chirurgia" con tutti i rischi del caso, riposa latente il germe della dominazione machista, della mentalitá maschilista e violenta che molte donne inconsapevolmente accettano ogni volta che permettono a un chirurgo sciagurato di aprirle per riempire di silicone i vuoti dell'anima, mentro l'uomo che continua a essere brutto sfoggia fiero la sua bambola prorompente per le strade della cittá. E ogni volta che una bambina di 18 anni si fa regalare le tette nuove per celebrare la sua maggiore etá e una suppostá "maturitá", ogni volta che genitori venduti accettano questa perversione sottoscrivendola e legittimandola agli occhi della figlia e della societá intera, il virus di un capitalismo corrosivo perché stupido e privo di senso vitale si diffonde a macchia d'olio, insudicia le menti e sporca le coscienze. Cosí nascono i consumatori di tette come di McDonald, di prostituzione come di droga, di occhiali Dolce&Gabbana come di realities insulsi, soporiferi ed idioti. E non é un caso, secondo la mia modestissima opinione, che il fronte di questa guerra sia proprio in America Latina. Perché qua ancora vive una saggezza ancestrale che é il nemico ultimo dei distruttori del mondo. La loro ultima frontiera. E' la guerra all'indio, ai suoi riti e costumi, alle sue credenze e infine, alle sue piante. E' la guerra dichiarata da secoli alla foresta amazzonica, che oltre a proporzionare caucciú e legna prima, petrolio e farmaci poi, offre da migliaia di anni attraverso le sue piante una finestra verso la redenzione e una ultima difficile opportunitá di cambiamento. E il numero sempre crescente di "gringos", stranieri di ogni sorta che senza neanche parlare spagnolo e senza sapere a cossa si confrontano accettano questa opportunitá lo testimonia.
Il malessere c'é, questo é fuori discussione. Per alcuni ormai non c'é piú cura possibile, troppo sprofondati in false comoditá e schiacciati da falsi doveri. Ormai migliaia di persone si fanno incatenare giornalmente al giogo soffocante del credito, unica risorsa possibile per alimentare uno status insostenibile attraverso il solo magro stipendio. Inseriti come tasselli di un mosaico nella struttura falsa della societá occidentale, fatta di regole suppostamente infrangibili, si ritrovano, piú che fisicamente, mentalmente intrappolati perché schiavi di convinzioni false, assolutamente parziali e soggettive.
Nel viaggio ho incontrato un trader quotatissimo, 26 anni, che stanco di vedere scorrere numeri sullo schermo di un computer per 12 ore al giorno nel nome di qualcosa che ormai neache lui sapeva cos'éra, si é licenziato e se n'é andato a fare il giro del mondo. Per un anno vedrá scorrere il mondo davanti ai suoi occhi. Qualcuno astutamente commentó: "Si vede che aveva i quattrini per farlo". Questo qualcuno sicuramente ha un'auto o una barca che vale 2 o 3 anni di viaggio in giro per il mondo, certo non mangiando caviale in compagnia di escorts d'alto bordo. Ad altri invece, rimasti in silenzio, brilleranno gli occhi nell'immaginare una tale rivoluzione. Il pensiero volerá in mille luoghi sconosciuti e lontani, assaporeranno cibi e odori diversi. Strani suoni, abiti sgargianti. Cieli diversi. Sorrisi genuini. Risvegliandosi bruscamente davanti al monitor affollato di numeri, immersi nell'orgiastico chiasso dell'abbuffata capitalista rivestiranno i panni del cittadino. Per questi ultimi, nonostante tutto, c'é ancora speranza

martedì 4 agosto 2009

bye-bye Panamá


Dopo Panama City, il canale e la sua storia, dopo gli atolli di San Blas, dopo gli afro-antillani di Bastimento che parlano wari-wari (l'inglese caraibico stile jamaica) e dopo essere tornato, di nuovo, a cazzeggiare sulle bianche spiaggie caraibiche dell'arcipelago di San Blas a caccia di mante, pesci dalla testa enorme e leggendari inesistenti squali tigre domani si parte in direzione Colombia, ed era l'ora. Non che non mi siano piaciute le maniere stile "ma che cazzo vogliono questi qua" con cui la vecchia indigena dell'atollo ti serve da mangiare. In effetti, dal loro punto di vista, siamo proprio dei cazzoni. Non mi immagino che avrá pensato la povera vecchietta delle nudiste spagnole che io ho mancato per solo un giorno. Non che gli manchi il senso degli affari, la domanda é ma che cazzo ci faranno coi soldi? Io credo li usino come una specie di amuleto magico che serve a scacciare il gringo invasore e a mantenerlo sotto il loro controllo. Senza soldi si sentirebbero in balia dell'uomo bianco e anche di quello nero, perché i Kuna non sono né bianchi né neri e non sono neanche panameñi, sono semplicemente Kuna, e il fatto che li lascino tranquillamente stare seduti sulla miniera d'oro rappresentata dal loro arcipelago é indubbiamente una bella notizia. Pensate che nessuno che non sia Kuna puó comprare un isola. Che l'unica maniera per accedere é sposando uníndigena (simpatiche son simpatiche...peró sarebbe dura...). Che un atollo puó costare 5000 $ o meno. In questo modo le isole (ma non tutte) si mantegono in uno stato di adorabile arretratezza. Niente luce, niente acqua dolce a parte quella di un pozzo che se un geologo mi spiega come fa a esserci acqua dolce in mezzo a un atollo lo ringrazio tanto, naturalmente niente telefono o internet. Insomma, niente di tutto ció che rende la vita dell'uomo occidentale un pó piú sopportabile. Certo é che non c'é neanche lavoro, nel senso che il lavoro consiste nello stare sdraiati su un'amaca aspettando che passi la barca grande a raccogliere i cocchi. O che arrivi il turista, e quindi bisognerá preparargli alla bell'e meglio 3 pasti al giorno sperando che non rompa troppo i coglioni. O andare a pescare. Tessere un paio di molas. Dormire. Che vita. Io mi sono limitato a fare come loro, inprovvisando un paio di docce con l'acqua del pozzo, vagando per l'isola sperando di incontrare Kate o Jack, circumnavigando 3 isole con un materasso gonfiabile insieme a 3 uruguagi surfisti cazzoni a nuoto, facendo uno splendido faló da perfetto boy-scout in cui una signora di cui non riveleró l'identitá recuperava alcuni anni persi della sua vita bevendo contreau e fumando marijuana davanti ai figli e al marito attoniti ma che alla fine mica gliene fregava niente. Fino al triste ritorno nella metropoli. A fotografare i bambini del centro fare skate in quel che resta del "Club de la Unión", una specie di sede Rotary dove Noriega faceva il ganzo e che gli americani pensarono bene di radere al suolo con l'invasione dell'89. Della serie, "qui si fa come diciamo NOI". Stranamente, visto lo skyline stile Miami che lo circonda sembra impossibile che non sia ancora stato oggetto di nessuna speculazione edilizia. Ma sono sicuro che non tarderanno a sbattere fuori tutti a calci, dai bambini skater ai disgraziati che ancora vivono nelle pericolanti case di legno del centro, per ristrutturare e vendere a decrepiti pedofili americani in pensione ai Caraibi e completare la ormai avanzata mcdonaldizazione del paese. A cui sono certo contribuirá il nuovo presidente Ricardo Martinelli, un liberale populista di origine italiana educato negli states che ha composto un gabinetto di tecnici miliardari con diplomi made in USA. Dicendo al popolo che la gente ricca é onesta perché non ha bisogno di corruzione. Come lo sappiamo bene, noi italiani...

martedì 21 luglio 2009

Dolce dormir...

Ci sono momenti in cui é bene mettere da parte la polemica, dimenticarsi di Renzi, della Tramvia, di Cuffaro e di Razinger e godersi il caribe, mangiare aragoste, fare il bagno con il diluvio, dormire in un'amaca e dedicarsi a sé stessi...





L'arcipelago di San Blas e un'indigena kuna con il figlio

venerdì 17 luglio 2009

Le Priorità

Mentre cammino verso il Museo Afro-Antillano di Panama passo accanto a una inquietante pubblicità della Claro, compagnia di telefonia cellulare, con un bambino anoressico di classe media con un sorrise ebete e un ciuffo odioso che ostenta il suo "primo cellulare". Non posso far altro che pensare che in America Latina e Caribe ben 8.8 milioni di bambini soffrono di denutrizione cronica. Mi immagino la faccia sorridente di un bambino indio, o nero, finalmente sazio, con un sorriso genuino e sincero che davanti a un piatto finemente ripulito ostenta la sua felicità, e rutta. Per il primo piatto completo della sua vità che, come si sa, è fatta di priorità. La priorità della Claro, come di tutto il sistema di marketing mondiale è convincere i bambini a rompere il cazzo ai genitori fino allo sfinimento perchè comprino tutto l'inutile possibile che la mente di un bambino non è assolutamente in grado di discernere. Mentre all'adulto resta ancora un pò di capacità di giudizio, al meno la capacità di leggere il suo estratto conto sotto zero, il bambino sa una sega lui, e tira la gonna e si attacca ai pantaloni, e piange, si dispera, minaccia il suicidio, la fuga, è diabolico e ormai perverso perchè vuole il cellulare della nokia e gli occhiali di dolce&gabanna (linea Kids). Il genitore invece di dare uno schiaffone al figlio e di mandarlo a letto, sentendosi un fallito sempre per colpa della pubblicità che gli chiede di essere un genitore fico con un ciuffo holliwoddiano tipo quello di Matteo Renzi, accende l'ennesimo prestito al 27% con Prestitò o Credial e si porta a casa una settimana di silenzio del pargolo, il quale presto o tardi ricomincerà, chiedendogli magari di comprarsi la Rav4 perchè se no è un papà di merda, uno sfigato, un fallito e pure un idiota, mica come il babbo di Antonhy, tanto per citare uno dei tanti nomi del cazzo che le famiglie di oggi danno ai figli (e che sono di per se stessi delle condanne scritte per il figlio a essere un grandisimo scassacazzi nell'infanzia, un inetto pilota di minicar odiose nella pubertà e un cocainomane viziato nella fase adulta). Dopo questo veloce pensiero, arrivo al Museo e lo trovo chiuso per pausa pranzo, quindi mi precipito a mangiare pure io, nella splendida bettola in centro dove per 2 dollari mio servono un piatto immenso di carne, lenticchie, riso e pure un caffè, oltre a una fauna multicolore di invisibili parassiti che si impossessano delle mie viscere. Che soddisfazione. Uno dei punti di forza di questi adorabili posti è che non ci troverai mai un bambino odioso con il cellulare e la lacoste, un padre con gli occhiali di armani e il blackberry o una madre con un collier di cartier e un puzzolente profumo di chanel. Terminato il lauto pasto torno verso il museo, busso alla finestra e un paio di splendide signore di colore mi aprono col sorriso. Il museo occupa una vecchia chiesa in legno che rispetta pienamente lo stile New Orleans delle casette della parte vecchia della città. Altri edifici sono in muratura ma hanno sempre un'inconfondibile stile coloniale. Tutto trasuda una allegra decadenza. Sembra un pò la Havana (come se ci fossi stato), solo che per la strada invece dei FIAT 131 ci sono macchine un pò più moderne. Oltre ai FIAT 131, s'intende, e il presidente non è un barbudo 80enne ma un miliardario di discendenza italiana che ha promesso mari&monti (ricorda un pò qualcuno). Il museo è piccolo, ma carino. Nella visità vengo guidato da Marcia, la Principessa Congo di Panama perchè Panama è un mix indescrivibile di colori. Gli afro-coloniali, a cui appartiene la signora, sono coloro giunti sull'istmo con le prime ondate colonizzatrici spagnole, sopratutto dal Congo, arrivati direttamente dall'Africa come schiavi occupano queste terre da 5 secoli e si sono integrati linguisticamente e culturalmente con la realtà panameña, contribuendo a crearla. E sono piuttosto orgogliosi di tutto ciò. Le altre comunità afro, invece, sono arrivate a Panama con l'ondata di mano d'opera piovuta durante i lavori di costruzione del Canale Francese prima e del Canale Americano poi. Sono gli afro-caribeños, giunti dalle isole caraibiche di lingua francese e inglese che hanno contribuito anche se in maniera diversa dagli afro-coloniali, allo sviluppo della multiculturalità panameña. Sono gli ultimi arrivati, ed erano la vera carne da cannone del canale, sfruttati e malpagati allo stesso modo dei congos e dei bianchi europei (fra cui un migliaio di italiani, greci, irlandesi...tutta la crema, insomma). Questi emigrati erano inoltre vittima di discriminazione sul lavoro, ricevevano infatti il "silver roll", che a differenza del "golden roll" (il quale spettava solo ai lavoratori bianchi statunitensi) consisteva nella metà della paga in moneta locale (invece che in oro) e di una serie infinita di svantaggi. Degli 80.000 lavoratori transitati nella costruzione del Canale ne morirono circa 20.000, la maggioranza afro-caraibici.
Ma il canale va difeso, perche fattura ogni anno circa 750.000.000 di dollari, facendo passare circa 14.000 navi all'anno per un pedaggio medio di 54.000$ cada una e contribuendo alla prosperità del commercio mondiale, che culo no? Quindi, tutte le cose brutte e cattive che riguardano il canale vanno dette fra le righe, o all'arrovescia. Per esempio: il canale inquina l'acqua?? nel museo ci mettiamo una bella sezione sull'importanza dell'acqua come risorsa per il futuro, e il visitante esce dicendo "che brava l'autorità del canale che pensa all'acqua...sticazzi!". Il canale distrugge la biosfera??? tranquilli, nel museo mettiamo una bella sezione che descrive il come eravamo della fauna&flora selvatica della zona del canale, e il turista è sempre più confuso e esclama "anvedi come sono ecologgici quelli dell'autorità del canale...sticazzi!". Un pò come la Shell, che quando voleva smentire quei cattivoni malpensanti che la accusavano di inquinare il mondo, fece una pubblicità su un loro progetto di salvaguardia di una farfallina tanto carina in richio di estinzione. Il progetto di salvaguardia mettiamo costava 50.000$. Trasmettere la pubblicità in tutto il mondo in 10 lingue costava, che so io, 50.000.000 di $. Ma la vita si sa, è fatta di priorità, e il consumatore in questo modo, confuso, sussurava: "sticazzi...", vedendo la farfallina della Shell volteggiare felice nel farfallodromo della Shell, e andava a fare benzina al distributore della Shell anche se era il più caro di tutti e poi giù a tutto gas per la circonvallazione che tanto la farfalla della Shell è sana come un pesce. Insomma, il mondo fa schifo, se no Renzi non sarebbe mai diventato sindaco di una città che qualche anno fa era la perla della cultura del mondo civilizzato, si o no Renzi? Vabbè va, sul canale se ne potrebbero dire di tutti i colori, diciamo che almeno gli statiuniti si sono levati dalle palle restituendo dignità territoriale a un paese che nell'essere "istmo" ha trovato da sempre la sua caratterizzazione nazionale. Come disse il grande Torrijos, a cui il povero Renzi non potrebbe nemmeno scaccolare una narice, "io non voglio entrare nella storia, voglio entrare nella zona del canale!". Noi accontentiamoci della Cittadella Viola e di un sindaco che nel programma elettorale da VOI votato ha scritto, al punto 51: “Il futuro è viola, basta chiacchiere, si decida”. No dico io, son questi gli statisti del domani...good night and good luck!

martedì 14 luglio 2009

Panama


Mentre nel 1977 il Presidente Torrijos, forse l'unico vero dittatore illuminato della storia, firmava il trattato di restituzione del Canale con gli Stati Uniti rappresentati dal filantropo Carter, forse l'ultimo essere umano a siedere nella stanza ovale, Kissinger, la Tatcher, Bush (che già lavorava e tramava nelle stanze della CasaBianca) sorridevano amari quando chiamati in causa dall'onesto, quasi ingenuo, presidente Carter. Kissinger, mentre sorrideva, pensava, "col cazzo che ti facciamo rieleggere coglione". E infatti fu fatto. Niente rielezione. Al povero Torrijos, che stava rimettendo in sesto un paese che era uscito, guarda caso, da una dittatura militare iniziata, col beneplacido dei gringos, proprio con i primi aneliti di indipendenza dell'ingrato popolo panameño, toccò la sorte peggiore. Salito sull'elicottero sbagliato perchè mal consigliato da una sua guardia di sicurezza poco interessata alla sua sicurezza, saltò inspiegabilmente in aria poco dopo il decollo. "Chi sarà stato??" dissero tutti. Forse quelli della mala, forse la pubblicità, suggerì Max Pezzali con quella faccia a culo che si ritrova. "Forse Andreotti?" suggerì metà dell'elettorato italiano. No, niente di più facile: fu la CIA. In quei giorni era dura la vita dei presidenti latinoamericani ribelli. Un altro impertinente, tal Roldòs, ecuatoriano, morì poco tempo dopo in circostanze simili. Aveva avuto il coraggio di rivendivare, addirittura con una legge, il diritto di sfruttare le risorse del suo Stato per il beneficio del suo Stato invece che degli Stati Uniti e delle sue corporations. "Ma siamo matti??" disse Reagan, mentre guardava un film western con John Wayne e ordinava un BigMac e una boccia di wiskhy. Il suo vicepresidente, che si chiamava Bush, proprio lui, i film non li guardava, si limitava a scrivere le scieneggiature. La CIA li produceva, con incassi eccezionali. Si faceva pagare di solito con eroina o cocaina, dipendendo da dove venivano distribuiti, se in Afganistan o in America Latina. Che bravo era Bush. Risolto il problema Torrijos, il buon Noriega prese il suo posto e in 8 anni, da essere il vice di Torrijos (quindi, si presume, una persona quanto meno normale), si convertì nel Bin Laden dell'istmo, tanto cattivo nel trafficare droga in direzione nord da meritarsi l'invasione del suo stato. Forse la cocaina che spediva aldilà del Rio Bravo non era buona e questo provocò le ire della CIA, che con la cocaina ci doveva vivere. In quel favoloso anno, il 1989, il presidente degli Stati Uniti d'America era, ma guarda un pò, Bush, proprio lui. A Reagan, ormai, a forza di vedere western, mangiare BigMac e tracannare wiskhy gli era venuto l'Alzaihmer. E a Bush, che nei comizi dichiarava che il mondo era un luogo pericoloso (dimenticandosi di dire che la colpa era sua), la cattiva condotta di Noriega era sembrata una scusa sufficiente per invadere Panama, arrestarlo e cogliere l'occasione per bombardare il quartiere più povero della capitale e consolidare il controllo sul Canale. Era stato consigliato non da alti gradi militari, ma dal suo agente immobiliare. Distruggere per ricostruire, radere al suolo capanne per costruire grattacieli. Moltiplicare il valore. Riprendersi il canale. Speculare, fare soldi. Diventare ricco, potente e creare un altro meraviglioso caraibico paradiso fiscale. IN GOD THEY TRUST. Menomale...

Che faccia di culo

mercoledì 8 luglio 2009

Meglio il Franchi

Redimimimimi, o Crishto

Continuo a toccarmi il mento pensando al colpo di machete inferto al povero Daniel nelle profonditá dell'Africa nera, nemmeno l'avessero dato a me, e alla sua passione per il viaggio che lo riportó in Tanzania per finire quello che aveva cominciato.
Il giorno dopo l'arrivo a Foz ce ne andiamo a visitare le cascate di Iguazú, 6a meraviglia nel nostro viaggio dopo il Rio delle Amazzoni, la Cordillera Negra, Machu Pichu, il Lago Titicaca e il Salar di Uyuni. Nico sostiene che la settima saranno i culi delle brasileire, annuisco concorde. Dopo aver visto le cascate e lasciato Daniel a fotografare le farfalle coi numeri sulle ali ce ne torniamo all'ostello a fare gli zaini destinazione Londrina, la cittá dove potevo fare il tirocinio ma alla quale preferí il Perú e la selva. Arrivati a Londrina veniamo adottati (a 30 anni non é male) dalla famiglia della meravigliosa Susanna, che a 18 anni parla 6 lingue di cui 4 fluentemente. Di famiglia italo-giapponese, ha una mamma iperattiva professoressa all'universitá alla quale mi permetto di insegnare a cuocere decentemente la pasta (voleva usare la pentola a pressione). Mentre gioco alla playstation con Calvin, fratello della Susanna, di cui sono piú o meno coetaneo (ha 16 anni) decido di illustrare alla padrona di casa anche i segreti del tiramisú di casa Dei/Biagini, sintesi perfetta della golositá vorace dell'ala femminile della famiglia e della mia a volte preoccupante e maniacale precisione tecnica (esiste un lato giusto e uno sbagliato per bagnare i pavesini, per esempio). Dopo aver appurato che avevo fatto bene a sciegliere Iquitos ci leviamo dalle palle in direzione Rio de Janeiro, scartando l'ipotesi Curitiba che tutti descrivono carina ma fredda. Ad attenderci nella capitale carioca abbiamo la couchsurfer Fernanda, designer 39enne con i ritmi circadiani invertiti e una vitalitá degna di una regazzina. Il primo giorno ci precipitiamo in spiaggia, a Ipanema e Copacabana, per vedere da vicino questi luoghi mitologici dove orde di connazionali passano le vacanze di Natale in stato di semierezione perenne sporcando la reputazione degli italiani all'estero, che in Brasile é giá abbastanza malandata. Poi avremo modo di appurare che i francesi non sono da meno, ma hanno l'erre moscia che rende tutto piú chic. Passeggiando per le strade di Copacabana, parliamo come Abatantuono nel Barbiere di Rio e ci prepariamo all'interminabile finesettimana carioca. Il quale ci lascia col fegato di un novantenne. Dopo 5 splendidi giorni dormendo sul pavimento del salotto di Fernanda ci spostiamo, dietro esplicito invito, a casa di colui che chiameró il Triste, ingegnere francese 29enne che spende il sussidio di disoccupazione andando a puttane in giro per Rio de Janeiro, vive in un appartamento da solo, a 4 isolati dalla spiaggia, e passa le sue giornate fra il mare, pornografia in internet, gli hot-dog (suo cibo preferito) e una penosa ossessiona per le donne, che siano gratis o a pagamento. Insomma, in Italia sarebbe Ministro. Il giorno dopo il trasloco ce ne andiamo in spiaggia e conosciamo colei che chiameró la Lurida. Sui 36 anni, nutrizionista che dice che fa bene mangiare 12 uova al giorno, sta a Rio a studiare agopuntura e a fottere come un coniglio. Parla di cazzi e pompini come se fosse acqua e come se a noi ce ne importasse veramente qualcosa. Ci informa che quando viaggió per la Bolivia le dava fastidio che la gente puzzasse e io mi permetto di ricordargli che disgraziatamente, a volte, la povertá in generale puzza, non i boliviani in particolare. La odio. L'atmosfera della casa é abbastanza deprimente e dopo aver conosciuto l'altro mostro, che chiameró il Viscido, anche lui francese in trasferta per ragioni prettamente sessuali, decidiamo di togliere il disturbo e restituire a Triste la sua solitudine, ambiente dove meglio puó coltivare i suoi vizi e la sua malcelata tristezza. Viscido é addirittura piú giovane di Triste, ed é talmente rincoglionito dal sesso a pagamento che anche Triste ne puó parlare male alleviando un pó la sua disgraziata condizione. Dice che ormai Viscido non riesce piú ad avere una ragazza normale (probabilmente non l'ha mai avuta) abituato com'é alle modalitá sessuali sbrigative ma efficaci delle professioniste, che arrivano in casa e in tre secondi glielo stanno succhiando avidamente, e che ha deciso di cambiare casa per andare a vivere con altre persone cercando di limitare e controllare la sua debolezza. Mentre ce ne stiamo in spiaggia veniamo abbordati da 2 simpatiche professioniste del sesso, 21 e 22 anni. Nico ci si mette a parlare, ma solo per ragioni socio-antropologiche. Durante l'interessante conversazione veniamo a sapere che una delle 2 se li scopa tutti belli magri grassi e brutti, non gli interessa etá o ragione sociale, l'importante é il preservativo, almeno quello. L'altra ci fa sapere che ha il ragazzo italiano, di Napoli, che gliela lecca bene e tanto, e arriverá a Rio a Novembre. Trasaliamo. Ci dice anche che lui sa che lei lavora nell'inesauribile campo della prostituzione e che nonostante tutto gliela lecca. ed è felice. Ritrasaliamo, pur non avendo niente contro il cunnilingus in particolare e senza essere iscritti a Comunione e Liberazione (è noto che in certi ambienti si preferiscono altri orifizi con l'obiettivo di preservare la Verginità). Dopo che le 2 simpatiche ragazze che da una stima rapida dovrebbero avere sui 500-700 clienti all'anno ci mettiamo a parlare con Lurida e Triste dell'assunto, e Lurida scandalizzata ci dice "ma come?? voi non gliela leccate alle troie??? che retrogradi!!!!". Ri-ritrasaliamo. Io la offendo. Ce ne andiamo. I tempi sono maturi per un ritiro di qualche giorno sull'isola dei famosi.

Ah, dimenticavo, siamo stati a vedere il Cristo Redentor. Che culo. E una orribile partita al Maracaná. Adriano pesa 100 kili ed é inguardabile. Meglio il Franchi.

giovedì 2 luglio 2009

I MATTI



Lasciata Asunción, siamo finalmente giunti a Ciudad del Este dove eserciti di libanesi naturalizzati brasiliani trafficano qualsiasi tipo di prodotto in 4 lingue sfruttando l'inesistente regime fiscale paraguayo. La quantitá innaturale di arabi che pullullano le strade della ridente cittadina ha allertato le autoritá statunitensi che hanno dispiegato sul luogo una quantitá indefinita di agenti segreti, obesi e coi baffi unti, che mangiano kebab dalla mattina alla sera grattandosi le palle in continuazione, andando a puttane e provocando risse nel centro storico (che non esiste). Fatto un giro nel mercato e ragg9iunto uno stato di emicrania cronica, abbiamo mangiato in una bettola su un marciapiede sotto lo sguardo sprezzante dell'usciere dell'hotel a fianco. Se sei straniero non hai diritto di non avere soldi, un pó come in Italia. Dopo aver desistito dal comprare di tutto, dalle Barbie finte all'uranio arricchito iraniano, siamo passati a salutare Osama e Saddam e poi ci siamo levati dai coglioni. 6 notti in Paraguay erano giá troppe. Saliti su un bus battente bandiera brasileira abbiamo superato l'impalpabile frontiera paraguaya senza il timbro di uscita, e dopo aver ottenuto il timbro d'entrata dai simpatici brasiliani siamo arrivati a Foz de Iguazu. L'esperienza é intensa, il cambio é estremo. Mi immagino che attraversare il confine fra le due Coree provochi una sensazione molto simile. Arrivati a Foz siamo stati acchiapati da un gioviale lavoratore dell'ostello locale il quale ci ha convinti in 2 secondi (come al solito) della bontá della sua insuperabile offerta. Per raggiungere l'ostello fuori cittá stavamo addirittura per prendere un taxi, ma abbiamo deciso che non ci pesava abbastanza il culo per compiere questo estremo gesto di pigrizia fisica e mentale. Dopo un'ora eravamo a destinazione, stanchi ma felici di essere in Brasile. Chicchierando al bar dell'ostello abbiamo conosciuto Daniel, uno svedese che gira il mondo in bicicletta. Biologo, fotografo, con la passione per la bici ha girato mezzo mondo sulle due ruote. Adesso stava andando dalla patagonia al Messico credo, non ricordo molto bene, ma aveva giá fatto dalla Norvegia al Sudafrica. Con un pó di sponsor e tanto tanto coraggio. In Africa gli era anche successo uno spiacevole "contrattempo". Mentre pedalava nella pacifica Tanzania un tipo con un machete lo aveva centrato in pieno mento aprendogli la faccia in 2. Lo svedese, evidentemente assistito dal suo angelo custode, era riuscito a non cadere di bici e a proseguire sanguinante per alcuni kilometri sfuggendo ai malviventi. Aiutato da altri malviventi, ai quali le circostanze richiedevano un ruolo compassionevole (anch'essi erano muniti di machete) era stato trasportato in un "ospedale" putrido con le capre in sala operatoria e da lí trasferito nell'ospedale della capitale. Che era in sciopero. Bianco come un cencio, con la faccia aperta, mezzo morto e con il destino segnato, fu salvato di nuovo dall'iperattivo angelo custode che convinse i riottosi medici ad aiutare il povero cristo svedese in procinto di ricongiungersi con i suoi cari estinti. E lo salvarono. Dopo alcuni giorni di convalescenza tornó in Svezia per farsi sistemare meglio la mandibola da un chirurgo vero, e non da uno diplomato all'ITIS. Adesso gira il mondo accompagnato dal bip dei metal-detectors. Non contento, tornó in Tanzania per proseguire il viaggio fino all'estremo sud del continente africano...
Quando pensi di averne conosciuto uno matto, ne trovi uno ancora piú matto.

giovedì 25 giugno 2009

Eroi moderni

Filippo con Hope

Anche nella decadente Asunción si possono fare incontri direi quanto meno alternativi. Filippo Dattola da Bologna è decisamente uno di quegli incontri. Figlio di genitori calabresi emigrati al nord negli anni '80 ha avuto una vita simile a quella di molti altri. Scuola, lavoro, calcio, il militare negli Alpini. Con una passione irrefrenabile per il PC. Dopo 10 anni circa di fedele servizio come informatico si è rotto le palle e si è licenziato, ha preso la liquidazione ed è partito per il nordamerica. Ha cominciato quella che lui chiama la sua "Ri-evoluzione". In seguito ad alcune peregrinazioni si è ritrovato a bordo di Hope, una Corolla del 1990 rosso fuoco, e con Hope ha raggiunto il Paraguay superando di tutto. Con semplicità e col sorriso. Nelle sue peregrinazioni di vita ha scoperto una passione per la scrittura (ha un blog che sembra scritto da James Joyce sotto effetto della cocaina) e negli States si è comprato una macchina da scrivere degli anni '30. Con quella scrive, a volte seduto in un bar, a volte sul tetto di Hope, con discreto esito letterario e ragguardevole successo riproduttivo, che non guasta mai. Arrivato a Bogotà è stato intervistato dalla BBC locale, la Toyota Colombia ha visto l'intervista e l'ha chiamato per una sponsorizzazione a 3 zeri. Non male. Una giornalista de La Stampa ha visto l'intervista, l'ha contattato e presto uscirà un articolo sulla sua impresa. A Bogotà ha anche tradotto e stampato, con l'aiuto di amici e amiche conosciuti sul posto, il libretto che stava scrivendo in viaggio. Adesso lo vende a 5$ per finanziarsi il resto del viaggio e una copia l'abbiamo comprata anche noi. Insomma, let it flow o blow with the flow. Falla scorrere, segui il flusso. Se hai un idea, un sogno, una tentazione, non lasciarla rinchiusa dentro di te perché da dentro ti corroderà. Sputala. Come dice il grande psichedelico Battiato degli anni '80: "il giorno della fine non ti servirà l'inglese". E considerato che pochi di noi andranno in pensione e anche se ci andranno non avranno ormai più neanche il barlume di un erezione per godersi quel che resta della vita, ma che cazzo ci stiamo a fare seduti sotto ansiogeni neon ospedalieri a contemplare lo schermo di un PC sbirciando con la coda dell'occhio MSN e l'amica neozelandese con cui chattiamo segretamente e che mai nella vita avremo la possibilità e il coraggio di conoscere? La risposta è dentro di te, ma come diceva Quelo, è sbagliata!! Certo che lo è, perché' le risposte che la maggior parte delle persone si da per calmare le proprie ansie interiori sono del tipo "non me lo posso permettere", "non posso", "ho delle responsabilità". Ma nessuno nasce con responsabilità, le responsabilità si scelgono quando si sceglie di comprarsi gli ormai famosi occhiali di Dolce&Gabbana, quando si va a Sharm el Sheik, quando si compra l'Home Teathre. Che non "serve". Sempre che questo verbo significhi ancora qualcosa. Serve l'acqua al bambino africano, le medicine al bambino boliviano, l'educazione a quello indiano. A noi, ormai, non ci serve più un cazzo. Solo un po' più di dignità e rispetto per noi stessi.


Filippo sul web:
http://www.elcorolladefilippo.com/
http://unfilteredthink.blogspot.com/

domenica 14 giugno 2009

Sucre, Santa Cruz, Che Guevara e il Paraguay

EVO da quelle parti sta sul culo un pò a tutti, in quanto pericoloso comunista (lo testimonia la simpatica scritta sul muro che non potei fotografare e che recitava "Evo, Santa Cruz sarà la tua tomba"). Un tassita, povero e con un rottame di auto, appena sentito che andavamo a Vallegrande a visitare i luoghi dove finì i suoi giorni Chè Guevara, mi guarda e mi domanda in tono "io lo sapevo": comunisti??. Io mi guardo intorno per vedere se da qualche parte spunta Bruno Vespa o il Dottor Bondi ma niente. Siamo in Bolivia e non ad Arcore. Guardo il tassita e mi chiedo che cosa abbia da perdere un disgraziato come questo con il governo di Evo Morales. E mi rispondo: "niente, perchè questo non ha niente". Ma come sempre succede, i ricchi, gli americani, i padroni della colonia, sono sempre molto efficaci nel contagiare i propri sudditi americani del sud con le loro stesse paure. La povertà anche se non hai niente, la libertà anche se non la puoi godere. Mai una volta che li contagino con la loro ricchezza. Quella no, non si trasmette, è genetica...si eredita. Che Guevara, invece, anche se comunista combattente fedele sostenitore dell'inevitabilità della lotta armata, fa comodo al portafogli e quindi avanti popolo alla riscossa bandiera rossa trionferà, siamo tutti comunisti specie se in tasca hai una Visa, l'importante è pagare il conto all'oste. Rimpiango la Bolivia senza il senso degli affari e con un disinteresse snervante per i turisti. Forse è per questo che i cubani, quando arrivarono qui nel 1997 per riesumare i resti del Ché (ignobilmente gettati in una fossa comune nei pressi dell'aeroporto), decisero di portarselo via. Non gli piacquero gli occhietti avidi del sindaco. La domanda spontanea è: "ma la famiglia?". La risposta è: "boh". Mi fa troppa fatica di domenica mattina fare una ricerca per scoprire perché i resti sono a Cuba da Fidel e non in Argentina dalla famiglia. Certo è che l'Argentina non so se gli avrebbe costruito un mausoleo.
Quindi, dopo una visita lampo nella ridente Sucre, bella bianca e pulita che sembra d'essere in Europa (non in Italia...ho detto in Europa...) e non in Africa (cioè a Roma) come disse con grande acume comunicativo il nostro eccezionale Presidente del Consiglio, siamo andati a Santa Cruz, dove le famigliole vestite di cenci sniffano colla per la strada. Alloggiati in uno splendido alberghetto il cui proprietario ispira una naturale irrefrenabile antipatia abbiamo incontrato un gruppo di sciamannati anglofoni uno più ubriaco dell'altro, tutti mediamente imbecilli, specie uno, l'americano. 19 anni, idiota, in giro per il mondo con la Visa di papà, mi racconta con quei suoi occhietti vuoti da gringo rincoglionito di quando gli hanno puntato una pistola alla testa in una discoteca e spaccato un bicchiere in faccia. Ha ancora un cerotto su una guancia, accanto a un brufolo di acne adolescenziale. Mentre la mia faccia esprime sincero rammarico, penso: te lo meriti, testa di cazzo.
Ma che ci vogliamo fare, per loro è normale una sparatoria ogni tanto, una rissa, un occhio che rotola a terra sanguinante, una coltellata in pancia, una bottiglia in frantumi sull'ennesima testa vuota. Ma non li vedete i film???? Mah. Poi quando gli spieghiamo che in Europa quasi ovunque (anche se non ancora per molto) l'assistenza sanitaria è gratis, il niño stronzo inizia a dimenarsi incredulo. Come fanno ad essere così ignoranti? Il mondo di certa gente finisce in Texas.
Dopo aver passato una notte con i padroni del mondo in vacanza (c'era anche un ragazzino di Liverpool che avrei affogato con le mie mani) siamo andati a Samaipata, oasi in mezzo alle montagne circondata da ville miliardarie, Hummer, piccoli aerei biplano strabordanti cocaina e un numero considerevole di espatriati biondi che hanno aperto un alberghetto del cazzo o un ristorantino di merda (è che oggi c'ho l'acidità di stomaco, colpa del Rum&Cola).

La lavanderia


Da lì ci siamo spostati a Vallegrande, convinti di andare fino in fondo, fino a La Higuera a vedere il luogo dove seppellirono al Chè. Arrivati in paese siamo però stati assaliti dalla decadenza e dalla bruttura del luogo, abbiamo visitato la lavanderia dell'ospedale dove lo esposero mezzo nudo agli occhi del mondo e da dove tentarono invano di distruggere il mito, di umiliarlo, di svergognarlo, creando invece, col martirio, una delle figure cristologiche più rappresentate di tutti i tempi. Chè, uguale rivoluzione. Militare, uguale fascista. Come ci insegna il nostro Papi, quello che siede nei palazzi governativi italiani, i fasci, a volte ma non sempre, di comunicazione non ci capiscono un cazzo mentre sono grandi esperti di Viagra, Cialis, protesi sessuali a pompetta e veline minorenni pronte a tutto. Ma questo non basta a convincere milioni di operai nullatententi italiani a votare qualcun altro.
Una volta deciso che Vallegrande era sufficiente siamo tornati a Santa Cruz e con tempismo perfetto siamo saltati sul primo autobus in partenza per il Paraguay, destinazione Filadelfia. La teoria del "tanto son tutti uguali" ci ha condotto in un autobus super scalcinato ma affidabile, che in meno di una notte e poco più ci ha scaricato nel nulla. Filadelfia se non la vedi non ci credi. Colonia mennonita insediatasi in Paraguay nel 1927, è uno dei centri produttivi più importanti del Paraguay. I mennoniti, fuggiti perchè discriminati da URSS, Canada, Germania ecc. hanno conservato i loro costumi in modo estremista, rifiutando il contatto con la gente indigena e continuando a parlare la loro lingua. Biondi, alti, alcuni giganteschi. Altri, purtroppo, affetti da un impoverimento genetico dovuto alla cattiva abitudine di autorizzare solo matrimoni interni alla comunità. Le donne, come in tutte le società arcaiche e conservatrici, sono costrette a portare il peso della tradizione, e quindi le si vedono vestite in stile contadino degli anni '30. Gli uomini, invece, vestono dei più sobri abiti occidentali. Tutti sembrano usciti da una versione bigotta della Casa della Prateria (non so se hanno fatto una versione porno, ma ne sono quasi sicuro). Come molte sette o minoranze che hanno sofferto segregazione, umiliazioni, razzismo, loro stessi pensano bene di riservare lo stesso trattamento agli indigeni guaranì e non che vivono, anche se non tutti, in uno stato di povertà assoluta.
Dopo una "eccitante" notte a Filadelfia, dove abbiamo conosciuto la couchsurfer olandese Sofia che lavora in una ONG che si occupa di indigeni e vive in quel deserto da ben 8 mesi (è allo stremo) ci siamo incamminati verso Asunciòn. Bisogna preliminarmente dire che il cambio fra Bolivia e Paraguay è dei più estremi. In Paraguay comincia il sudamerica europeo che trova il suo culmine in Argentina e Cile. Mentre la Bolivia è un paese ancora caratterizzato e abitato in maggioranza da nativi, il Paraguay è un paese di bianchi. E la decadenza, la povertà, di un europeo in sudamerica, non trova il conforto della tradizione. Un'anziana boliviana o peruana, per quanto misera, tiene una bellezza negli occhi, nel modo di vestire, nella tradizione che sopravvive. Ad Asunciòn sembra di essere in un paese dell'est ex-comunista. Mi immagino che somigli ad alcune parti dell'Italia una 40ina di anni fa. Certo la maggioranza della popolazione (bianca) parla Guaranì. Ma è una lingua rubata. E non impedisce ai bianchi che parlano Guaranì di detestare o avere comportamenti razzisti con i nativi a cui hanno rubato la terra e anche la lingua.
Asunciòn non mi ha fatto proprio impazzire e infatti l'addio alla città e al Paraguay è vicino. Lo sostituiremo col sempre affascinante Brasile. Forse oggi, forse domani.

Quel che resta

mercoledì 10 giugno 2009

Vale un Potosì

Dentro la Miniera
All'epoca della conquista si diceva "vale un Perù". Don Quijote si esprimeva diversamente: "vale un Potosì". Entrambe erano misure impossibili da quantificare come impossibili da quantificare sono i milioni di tonnellate di minerale prezioso che dalle profondità delle terre sudamericane hanno attraversato l'oceano per andare a ingrassare le casse di quelle che poi sarebbero diventate le attuali super potenze mondiali. Potosì, all'epoca della conquista era la città più ricca e prospera del pianeta, qui affluivano dai 4 angoli del pianeta gli oggetti più lussuosi, le dame più belle, i commercianti più spietati. Adesso mantiene solo l'ombra di quello splendore, sostituita da una decadenza cui fa da contrappeso la vitalità della gente e il numero incredibili di giovani che la abitano.

Turisti

Ai tempi dell'auge dell'argento si potevano lastricare le strade con lamine di metallo prezioso per abbellire la città durante le feste patronali. Le chiese, i palazzi signorili e tutto quanto appartenesse alle classi abbienti della città erano tappezzate di oro e di argento. Il lusso a Potosì si esprimeva nella sua versione più sfacciata ed impossibile. La quantità di ricchezza che rigurgitava il serro era semplicemente immensa, come immensa era la quantità di manodopera che gli spagnoli reclutavano fra gli indigeni disperati, affamati, illusi. In condizione di pseudo schiavitù erano costretti a turni massacranti in condizioni massacranti. La vita media di un minatore che entrava nei tunnel a 14 anni difficilmente raggiungeva i 35. I polmoni venivano lentamente erosi dalle polveri che provocavano la silicosi. L'organismo indebolito dall'assenza di sonno e alimentazione. Quando ne moriva uno ne entrava semplicemente un altro. Nonostante la chiesa avesse ipocritamente dichiarato che gli indigeni, anche loro, possedessero un'anima, la realtà è che erano usati, anche con il tacito consenso della chiesa, come braccia al servizio dei dominatori, considerati alla stregua di bestie da soma e come esseri viventi senza coscienza e senza diritti.

Entrare nella miniera nel 2009 non può che riprodurre parzialmente quello che poteva rappresentare scendere nelle sue profondità nel 17º secolo. Nonostante il livello di sfruttamento non sia quello di una volta (adesso la maggior parte dei minatori sono organizzati in cooperative) e nonostante non ci sia quel brulichio incessante di operai che doveva esserci secoli fa, l'impatto con la miniera è sconcertante. Ma la visita turistica di 2 ore nei tunnel non può che dare un'idea approssimativa di cosa significhi vivere e lavorare anni in quell'inferno. La polvere, il caldo, il freddo, l'umidità, i rischi innumerevoli legati alle esplosioni e ai crolli, la debilitazione fisica e l'esaurimento mentale che quel lavoro produce con il miraggio irraggiungibile della ricchezza e della prosperità, e quel panorama arido che circonda la città e il serro stesso, e che finisce per inaridire anche la gente consapevole che il saccheggio è ormai finito e che se le multinazionali si sono ritirate è perché ormai non c'è più margine di guadagno accettabile. Questo, adesso, è la miniera di Potosì. Un disastro la cui descrizione attuale sarebbe di molto simile a una cronaca seicentesca, solo senza dame, teatri, arazzi e cavalieri ad abbellire il panorama.



Intervista a Don Luis

sabato 6 giugno 2009

Cronaca di un disastro

Una volta era verde. Adesso è un groviera.


“'Dobbiamo crear loro dei bisogni', ho sentito dire
a un uomo che conosce bene il nostro paese. I
bisogni sarebbero le cose. 'Allora diventeranno più
laboriosi' continuò l'uomo astuto. E voleva dire che
anche noi dovremmo utilizzare le forze delle nostre
mani per produrre cose, cose per noi, ma soprattutto
però per il Papalagi. Anche noi dobbiamo diventare
stanchi, grigi e curvi.”

Tuiavii di Tiavea (1998, 33)

Il gioco è relativamente semplice: l'uomo bianco, il Papalagi, arriva dove il suo mondo non ha ancora messo piede. Introduce la "moneta" e il "lavoro". Dice all'indigeno che per ottenere l'una si deve rassegnare all'altro. Poi riempe i negozi di aguardiente, mettendogli un prezzo arbitrario. La sera, al ritorno dalla miniera, fabbrica o piantagione, fa in modo che l'indigeno, il cui organismo non è assolutamente abitutato all'alcol, si distrugga il corpo e la mente con quel veleno. La mattina gli riempe la bocca di foglie di coca e lo rimanda nella miniera, nella fabbrica o nella piantagione. Questo fino a che il suo fisico, debilitato dal troppo lavoro e dalla scarsa alimentazione, non si decomponga in vita.
La miniera di Potosì, il Cerro Rico, è un monumento a questo schema implacabile di sfruttamento che la società dell'uomo occidentale impone da centinaia di anni a chi è arrivato troppo tardi al saccheggio o a quei popoli la cui filosofia di vita non si compone dei verbi "scoprire, sfruttare, abbandonare" come fa invece la nostra società. L'essere italiani ci da un posto un pò defilato in questa platea di aguzzini ma non per questo ci solleva dalle responsabilità. Ogni volta che compriamo un Cartier, una Ford, il caffè Lavazza, qualunque marca di zucchero, siamo complici della mattanza. Ogni volta che non spengiamo la luce, lasciamo l'auto accesa o il frigo aperto ci sporchiamo la coscienza col sangue di chi non c'entra assolutamente nulla. Ogni acquisto stupido e inutile contribuisce a mandare avanti la macchina dell'insensatezza che è ormai la nostra triste e vuota società perfettamente rappresentata dai Renzi, dai Berlusconi, dai Tronchetti Provera, dai Briatore, dai Ricucci e dalle Noemi. Basta sostituire all'aguardiente tutti i prodotti idioti, inutili e spesso brutti che la pubblicità ci convince essere indispensabili per la nostra riuscita sociale o sopravvivenza psico-fisica (il ricorrente e ossesionante esempio degli occhiali di Dolce&Gabbana - 2 italiani di successo - prodotti da bambini cinesi che guadagnano 1 dollaro al giorno e venduti a 300 € ai giovani d'oggi da Salmoiraghi&Viganò è, come sempre, eccezionalmente calzante). Alla coca, invece, sostituiamo l'icona del successo e realizzazione sociale proposta dal tubo catodico (oggi schermo al plasma) e che spinge, oltre a eserciti di stipendiati ad alzarsi ogni mattina e a votare Berlusconi, anche orde di ragazzine appena 18enni - tristi, vuote, intimamente disperate - ad avere rapporti orali (gli unici possibili a una certa età) con cenciosi e avvizziti membri maschili, purchè essi siano appesi, anche se in modo precario e provvisorio, a corpi di bavosi miliardari di successo. Se no, c'è sempre il Viagra.

Lettura consigliata: Tuiavii di Tiavea (1998). Papalagi, discorso del capo Tuiavii di Tiavea delle isole Samoa. Viterbo: Stampa Alternativa.

Dal Sudamerica, è tutto.

mercoledì 3 giugno 2009

Vivi, nonostante tutto.

Colazione sull'Orient Express

Dopo una notte a Oruro nel peggiore degli hotel con materasso concavo e gelo polare abbiamo preso il pittoresco treno boliviano, in direzione sud, verso Uyuni. Partenza alle 15.30 e arrivo alle 22.30 in perfetto orario. Sbarcati alla stazione di Uyuni una simpatica mamacha vestita di giallo ci ha convinti in 3 secondi della bontà della sua offerta. La nostra filosofia del "tanto son tutti uguali" mista a una buona dose di pigrizia ci ha fatto accettare al volo il pacchetto 3 giorni 2 notti tutto incluso al meraviglioso prezzo di 55 euri nel Salar di Uyuni+Deserto+Gaiser+visita lampo a un numero imprecisato di lagune colorate e non con autista scoreggione incluso: il mitico Ever, 23 anni, ormai soprannominato Gaiser.
Il tour massacrante è partito da Uyuni il sabato mattina. Il bancomat era fuori uso, quindi la mamacha in giallo si è dovuta accontentare di un acconto perchè Nicola il previdente non aveva soldi. La jeep Toyota Land Cruiser con 4 gomme del '73 lasciava un pò a desiderare ma l'equipaggio era dei migliori, con 2 francesi da cartone animato, Pascal&Sebastian, impegnati da 9 mesi nel giro del mondo e una coppia di danesi 20enni, Louise e Mads. Il tour consisteva nel passare una quantità di ore imprecisate nella jeep, con Ever che aveva colpi di sonno mentre guidava nel Salar. Quando scendevamo, Gaiser ci ordinava di fare foto, ci dava 10 minuti di tempo e si allontanava un pò, presumibilmente per scoreggiare. La prima notte abbiamo dormito in un simpatico hotel di sale, la seconda in una sperduta pensione con temperatura sottozero a più di 4000 metri. Il menù della seconda notte, che includeva tra l'altro un piatto di spaghetti accettabili, ha prodotto delle reazioni chimiche intestinali uniche nel nostro autista rendendo il secondo giorno ancor più asfissiante.
Tornati a Uyuni con una paresi articolare abbiamo dovuto affrontare lo "sciopero generale indefinito" che ci era stato annunicato già dal sabato. Mentre ci avvicinavamo al paese ascoltavamo alla radio le minacce del comitato degli scioperanti che prometteva espellere dalla città le imprese di trasporto che non avessero rispettato l'ordine di incrociare le braccia. Nonostante fossimo d'accordo con tutte le rivendicazioni che avevano prodotto la sollevazione popolare il giramento di coglioni era sommo. Arrivati, abbiamo iniziato ad indagare le possibilità di lasciare Uyuni. La città era piena di stranieri confusi e un pò incazzati, soprattutto quelli che erano arrivati a Uyuni per andare a vedere il Salar e che si ritrovavano nell'impossibilità di fare il tour ma anche di lasciare la città. Benvenuti in Bolivia. L'insistenza di Nicola (io mi ero abbandonato al destino) ci ha permesso di contrattare una jeep al prezzo di 160 euri da dividere in 6. Tutto si è svolto in un clima surreale, cercando di fare tutto di nascosto in modo che nessuno delle spie degli scioperanti capisse che stavamo partendo per Potosì cercando di evitare i blocchi dei manifestanti inferociti. Siamo dovuti salire sulla jeep uno alla volta, una volta saliti a bordo della jeep, ognuno con i suoi zaini sulle ginocchia per non dare nell'occhio (se li mettevamo sopra eravamo troppo riconoscibili), l'autista si è addentrato a fari spenti nella steppa boliviana. Io mi ero già visto morto di sette disperso nell'altipiano. Ogni tanto l'autista, che era assistito dalla moglie e dal cognato, scendeva e scrutava l'orizzonte per orientarsi. Io mi stavo cagando addosso e mi era passato il sonno la sete e la fame, mentre un panico strisciante si impadroniva dei miei pensieri. Dopo 3 ore vagando in mezzo a fossi e cespugli, schivando lama e vigogna, mentre l'autista con il suo ottimismo incrollabile disegnava traettorie discutibili nel deserto in cerca della giusta direzione, abbiamo raggiunto la strada per Potosì. Alle 4 di mattina stavamo nella città dei minatori in cerca di un hotel che ci permettesse di recuperare dallo shock della notte avventurosa e dei 3 giorni respirando le flatulenze di Ever.

Mitico Ever

Lavoratori del Salar

El Arbol de Piedra

La fuga

venerdì 29 maggio 2009

Cochabamba


Mentre il Dottor Carlos Arturo Martinez Rubiano mi fissa con i suoi occhietti etilici e il mento sporco d'unto degli spaghetti allo scoglio che non sa mangiare e pronuncia, scandendo, "my people is the hope of the world", io, con espressione dubbiosa, penso all'indio Kayapan che sobriamente e in tono ormai rassegnato diceva: "L'indio non deve bere. Mai". Perchè se no, come capitato a lui, è capace di mille aberrazioni, fino alla violenza carnale.
La Bolivia si rivela complessa, eterogenea e interessante. Appena arrivati a Cochabamba, accolti a braccia a perte dalla coppia da sit-com Lorenzo&Leire, ci siamo diretti da EVO, a Pocona, perdendocelo per un'ora. Se fossimo arrivati un'ora prima avrei avuto la mia foto col "Presidente", definito da alcuni "dittatore" ma amato dai più come un liberatore. Se statunitensi, inglesi, spagnoli, tedeschi, francesi e giapponesi hanno governato la Bolivia, spremendola, per 500 anni, è abbastanza inspiegabile tutto il polverone che solleva la possibilità che Evo Morales, con la riforma della costituzione, governi per 20 anni. Ma nei giornali non lavorano i minatori, e nelle televisioni non trovano impiego pastori e contadini. Che però, non dimentichiamocelo, sono molti di più.
Tornati a Cochabamba ci siamo goduti la città, sorprendentemente accogliente, per ben 6 giorni, con il suo caotico incomprensibile mercato, la pizza del mitico Aniello al ristorante "Sole Mio" (con finale di Champions inclusa davanti a un piatto di spaghetti ai frutti di mare), la partitella domenicale in quota (2500 m.s.l.m.) al campetto dietro lo stadio, le melanzane sott'olio di Lorenzo e le discussioni femministe con la Leire. Seguite dagli immancabili e comici siparietti polemici. Viene prima l'ambiente o la parità dei sessi? Secondo me la ricerca e l'educazione...che ne penserà EVO?

lunedì 25 maggio 2009

Lo svedese


La Paz, qual nome meno appropriato. Non che sia una città in guerra, ma sicuramente non si respira pace e tranquillità. La Paz è infatti un grandissimo mercato a cielo aperto dove l'economia informale e sommersa supera di gran lunga il volume d'affari di quella ufficiale. Inutile che Evo passi col cappello a chiedere che la gente paghi le tasse perchè la mamacha (leggasi "mamaccia", che significa "mammina") che vende empanadas all'angolo di strada si è dimenticata di comprare il registratore di cassa.
Arrivati dall'accidiosa Isla del Sol, dove sarebbe stato opportuno riprodurre la scena tanto amata del film "Non ci resta che piangere" dove gli attoniti Benigni e Troisi vengono vessati da un cieco e impietoso esattore toscano di frontiera, siamo piovuti in una riproduzione in tono sudamericano di Kolkata (ex-Calcutta). Senza guida Lonely, finalmente, e senza nessuna nozione sulla città ci siamo messi nelle mani di un obeso poliziotto turistico che vista la miseria in cui versavamo, e mentre ciucciava gaudente un lecca-lecca rosso fuoco, ci ha dirottato verso il meraviglioso "Hostal Cactus" en Calle Jimenez, dove al costo irrisorio di 27 Bolivianos (3 euri) cada uno abbiamo potuto prendere possesso di una splendida camera tripla con vista cesso. Fuori dalla nostra porta, una cenciosa tenda nascondeva una lussuosissima singola. Dopo aver girovagato qualche ora per le bancarelle e per le stradine affolate del centro siamo tornati all'albergo deprimendoci per l'età media da giardino d'infanzia degli ospiti. Con la testa fra le mani anche a causa di un pungente dolor de cabeza siamo andati a letto e mentre dormivano affondando nel materasso consunto e ormai irrimediabilmente concavo, verso le 3 del mattino, siamo stati svegliati dal delirio di un gruppetto di ragazzini che tornavano ubriachi dall'ennesima notte brava. Ed ecco qua che comincia l'avventura paceña del povero trio di trentenni italo-argentino. Uno svedese colored di approssimativamente 20 anni versava in uno stato di delirio alcolico a mio avviso irrecuperabile. Gli "amici", fra cui una stronzissima bionda tatuata e che Dio la castighi, invece di portarselo in camera con loro hanno deciso saggiamente che a ciucciarsi il marrone dovessero essere quei coglioni anziani degli italici che a causa del sonno in progress non si sarebbero mai svegliati per protestare a modino. E infatti così è andata. Mentre la Giselle si lamentava energicamente ma senza alzarsi dal letto, con dei contundenti "I don't care if he's drunk", io e Nico continuavamo a dormir pur consapevoli dell'accadimento. Le ore sucessive si sono svolte fra i deliri poliglotti dello svedese, le sue pisciate sulla nostra porta, conati di vomito da posseduto satanico e qualche accenno di protesta sempre e solo della povera Giselle, che tra l'altro dormiva vicino alla porta. Alzatomi come sempre per primo, verso le 8, sono uscito e sono stato investito dall'odore di piscio rancido svedese. Il povero Cristo versava in condizioni da internato psichiatrico grave, seduto su una seggiolina con le gambe fra le mani. Aveva un occhio ancora funzionante, che mi guardava fisso ma vuoto di significato mentre l'altro aveva dichiarato l'indipendenza dal cervello piroettando qua e là nella suite (quella con la tenda...). Saltata la pozza di urina del simpatico negretto sono andato in bagno. Tornato dal cesso (nome più appropriato), il giovane ha iniziato a blaterarmi della roba incomprensibile fino all'imperdonabile tentativo di entrare in camera nostra. A quel punto mi sono incazzato di brutto, ho chiamato la tipa della reception, ho minacciato di non pagare, ho svegliato la bionda tatuata infamandola a dovere, ho fatto un pò il diavolo a 4 e mi sono levato dai coglioni ma non dopo che la versione afroscandinava di Nicolas Cage in Via da Las Vegas non aveva lasciato l'albergo. Che simpatica avventura.
Tutto ciò ci ha fatto velocemente divorziare da La Paz, ma non a ragione. Infatti, il pomeriggio al mercato, il pranzo con la tipa panameña che vive in città e che avevamo conosciuto nell'Isola degli Esattori e la visita a un'altra parte della città meno movimentata e più carina mi avevano fatto pentire di aver già comprato il biglietto per Cochabamba, ma ormai il dado era tratto (si dice dado, non dardo, dal latino "Alea iacta est"). Alle 22.30, puntuali come degli svizzeri, siamo arrivati al Terminal di Plaza Antofagasta, siamo saliti su un autobus stellare con dei seggiolini meravigliosamente grandi e molto più comodi della media peruana e ci siamo incamminati verso Cochabamba.

venerdì 22 maggio 2009

La Paz

Meglio EVO

Mentre la Isla del Sol doveva ricaricarci le batterie per permetterci di affrontare al meglio la disastrosa quanto affascinante La Paz, siamo arrivati qua sulle ginocchia. Dopo le 3 notti al freddo e al gelo sull'isola degli scontrosi boliviani di frontiera, dopo aver dormito una notte addirittura 14 ore senza ricorrere a nessun psicofarmaco nè sostanza proibita, dopo non aver fatto una mazza per 3 giorni siamo arrivati stanchi, affliti da virus intestinali e con un sottile quanto fastidioso giramento di coglioni. Io, personalmente, mi sento affranto dall'aver lasciato dopo 8 mesi il Perù. Ormai ero a casa. Adesso iniziamo un viaggio di circa 3 settimane in Bolivia, dal salar de Uyuni alla tomba del Che (ormai non più tale dopo la riconsegna - forse immeritata - della salma a Cuba). Il pellegrinaggio nei luoghi dove Ernesto Guevara terminò i suoi giorni solo e tradito da tutti, nonostante le idee politiche del sottoscritto sempre fluttuino nell'iperspazio dell'incomprensibilità, rappresenta un atto doveroso di chiunque creda nella giustizia sociale, di chiunque abbia avuto in un momento della sua vita un ideale un pò più grande degli occhiali di Dolce&Gabbana, che come ho avuto già modo di sottolineare tempo fa sono un complemento insostituibile del giovane d'oggi. Sempre più giovane, idiota, incosciente e berlusconiano. Sarebbe molto meglio se, come sempre suggerisce Beppe Grillo alla sua figlia adolescente, si facessero un pò più di canne e vedessero un pò meno Maria De Filippi, che fra l'altro è un essere esteticamente orripilante. In aggiunta e come se non bastasse intrattiene relazioni sessuali dicono piuttosto perverse con Maurizio Costanzo. No, dico io! Da vomito.
Ma parliamo di Matteo Renzi: no, meglio di no. Già una volta il mio avvocato (che preferisce mantenere l'anonimato) mi consigliò di smussare alcune dichiarazioni spigolose che avevo pùbblicato su un acido blog ormai caduto in disuso. La pigrizia. Il consiglio è votare per sè stessi. Ognuno scriva il suo nome e cognome. Dopotutto, Firenze è dei fiorentini (cioè di chi vive, lavora e soffre a Firenze, paga le multe, non ha l'auto blu, non va alle feste di partito a sbavare dietro insulse fiche marce, non si può permettere il cappoto stile politico socialista anni 80 e non ha un ciuffo del cazzo che sembra uscito da un odioso film di Jerry Calà). Firenze non appartiene ai bavosi rampolli arrampicatori sociali gavettari impazienti sgomitanti con gli abbaglianti sempre accesi, con l'ansia di arrivare che spero un giorno li porti a schiantarsi a 200 km all'ora, pieni di coca e con una stupida velina al fianco (che fa finta di apprezzare le insulse doti sessuali del compagno di turno), contro un muro di cemento armato dell'alta velocità. Ho finito.

giovedì 21 maggio 2009

EVO - LUTION


Come non voler bene a quest uomo così semplice, così buono e così incomprensibile quando si rivolge alle masse in idioma Aymara misto Quechua con sfumature di Sardo e Altoatesino? Evo, Evo Morales, il discepolo di Chavez, qualcuno dice il suo lustrascarpe. Entrati in Bolivia l'impatto è forte e la sensazione è immediata: la gente ci crede. "Evo cumple" "El cambio avanza". Dopo 500 anni uno più uno meno di sfuttamento selvaggio da parte di Spagnoli, Inglesi, Statunitensi, Tedeschi, Olandesi è arrivata la riscossa. Come dargli torto? Dopo secoli di umiliazioni, dopo secoli di depredamento selvaggio delle incredibili risorse naturali del sottosuolo boliviano, dopo milioni di morti nelle miniere, nelle guerre inutili e perse, dopo aver speso vite rincorrendo le cause altrui e arricchendo paesi già ricchi, dopo aver finanziato il capitalismo "occidentale", dopo aver sopportato dittature sanguinarie. Dopo essere stati calpestati come popolo, privati della dignità, ridotti alla fame, alla miseria, all'ignoranza. Dopo essere stati privati del futuro, della speranza. Dopo questi ed altri scandali la gente si è abbastanza rotta i coglioni, e si è ribellata votando un cholo, un indio, uno come loro. Che parla la loro lingua, porta i loro vestiti, difende i loro diritti.

Speriamo solo che il popolo italiano non ci metta 500 anni a capire che Berlusconi non è la risposta ai nostri problemi.

domenica 17 maggio 2009

Barzelletta

Che ci fanno un giapponese, un australiano, una argentina e due italiani,con un curandero peruano in una capanna nei dintorni di Urumbamba? Una cerimonia di Ayahuasca, ma è chiaro!!! Che è l'Ayahuasca?? Dicono sia la "madre".
Dopo la discesa dal paradiso machupichano, felici della vita e apparentemente sani siamo scesi dall'auto alla stazione di Urumbamba, abbiamo salutato i compagni di viaggio israeliane comprese, abbiamo detto arrivederci al giapponese Taka, che aveva accettato il nostro invito per la cermionia del giorno dopo e ci siamo andati a cercare una stanza. Dopo ferrea quanto impietosa trattativa con l'oste abbiamo strappato una super stanza con 2 letti più un materasso aggiunto, TV via cavo, doccia iperfunzionante e una massaggiatrice thai nel cassetto del (mio) comodino a un prezzo dignitisossimo. Poi una cena leggera, stavolta per davvero e senza trattare il prezzo e a letto dritti dritti per recuperare le fatiche del turismo convenzionale e ricaricare le pile in vista del grande giorno, della cerimonia con "LO" shamano. Richard Rodriguez. Alcuni penseranno, "Ale, ce lo siamo giocato, era un bravo ragazzo". Niente di più falso, tranquilli. Sono in perfetta forma, fisica e mentale, la mia stella mi segue e l'angelo custode pure. Ho fiducia, ma tranquillo non ci sto mai, perchè "tranquillo" sta a Sollicciano (noto carcere fiorentino) con "scioltezza", e inoltre gli trombano pure impietosamente la moglie che ha lasciato a casa.
Detto questo, che chi non appartiene alla meravigliosa terra toscana faticherà a capire, torniamo a parlare della cerimonia che unì il mondo, 4 continenti in un vortice di energia positiva che come altre volte, finita una cerimonia, lascia i partecipanti con un sorriso e una distenzione emozionale che nessun psicofarmaco, nessun psicologo, nessun goal di Gabriel Batistuta abbia mai potuto produrre. A volte, i dribbling di Edmundo, quelli si che aprivano il cielo ma non rifacciamo, come diceva Vasco, un letto ormai disfatto.
Insomma, esperienze, esperienze, esperienze...che ti viene voglia di dire "tutti dovrebbero fare". Sempre che "tutti" siano pronti, sempre che la chiamata dell'istinto sia abbastanza forte da farti fare 10.000 km in cerca di qualcosa che non sai neanche tu che cosa è. E che neanche una volta incontrata puoi riuscire realmente a capire o a spiegare. Ma hai delle idee, che gelosamente custodisci. Dice il curandero che sono come pezzi di un mosaico, e solo il tempo lo può comporre. E l'Ayahuasca. Dice che per arrivare alla saggezza, per non essere schiacciati dalla conoscenza, bisogna radicarsi bene nel mondo presente, quello fisico che ci è dato di vivere. Che se una pianta vuole raggiungere il sole lottando nella selva per la sua sopravvivenza deve avere un fusto forte e delle radici poderose. Vedremo se come diceva il mitico Verdone nell'altrettanto mitico Gallo Cedrone anche a noi sarà dato il privilegio, come il Feroci, di vedere "a luce...". Intanto preoccupiamoci di vivere. E di cercare.

giovedì 14 maggio 2009

Machu Pichu

swarovski_toilet

Andare al Machu Pichu è una specie di febbre da cui sono affette davvero e non a mezzo stampa un numero indefinibile di persone in tutto il pianeta. Questo si riflette sui metodi, fra l'Indiana Jones e il Collonello Goebbels, utilizzati per raggiungerlo. Sveglia la mattina alle 3.50 un'ora più adatta per coricarsi che per svegliarsi. Niente colazione. Camminata di 1 ora in salita su degli scalini fatti da un cieco storpio con la cataratta e l'alito cattivo. Coda di 10-15 minuti fermi davanti alla biglietteria al freddo e al gelo che se non ti sei portato un cambio t'ammali di sicuro. Alterco di Aliosha (me) con una guida locale che fa un pò troppo il ganzo. Causa: arrivato povero Aliosha ultimo a causa forse di insufficenza toracica, ho saltato tutta la coda in bello stile italiota per raggiungere l'amico Nico che investito dal richiamo dell'ancestro passato pennuto era arrivato praticamente primo. Poi si entra, ma se non hai captato stanchezza permettendo che lo zaino non deve essere più di 20 lt. ti fanno tornare indietro al guardaroba dove un guardarobiere con un emisfero vigile e uno no stile delfino ci mette 2 ore per sistemare il tuo zaino dove poi lo perderà di sicuro. Slalom fra le israeliane con zaini da 21 litri in su che stanno litigando coll'inerme bigliettaio a colpi di iracheno e arafatte. Poi corsa, no, camminata sostenuta barra marcia verso l'entrata del Wayna Pichu, altro monte, altra salita di un ora in condizioni che neanche Manolo gli fa voglia di salirci e ti manda affanculo in altoatesino stretto. Altra coda. Gli israeliani sono tesi perchè non sono primi. Infatti, sulla scia di Nicola, un italiano barbudo con la diarrea latente è da solo al comando pronto per intraprendere l'allucinante scalata. Ma ecco che improvvisamente, un dolce richiamo giungente dal basso mi spinge a una amara quanto doverosa riflessione. Ma chi cazzo me lo fa fare a me che quasi moio per arrivare fino a qui, mezzo disitratato e con un giramento di coglioni da record, di farmi un'altra ora di ascesa agli inferi per vedere il Machu Pichu dal Wayna Pichu che è pure uno scioglilingua del cazzo e mi viene il mal di testa solo a pensarci??? Saluto educatamente Nicola e la Giselle, che fra una cosa e un'altra adesso non si ricorda nemmeno più chi è stremata dall'allucinante maratona e vado trionfante verso il bagno. A pagamento, per fortuna non in dollari se no gli cagavo sulla porta. I prossimi 30 minuti della vicenda sono indubbiamente ricchi di spunti narrativi molto coloriti ma per esigenze di buon gusto preferisco omettere i particolari della mia relazione strettissima con il cesso, per fortuna pulito, del bar del Machu Pichu. Ormai non più tanto pulito.
Portata a termine la mia missione, finalmente libero, credevo, da bisogni fisiologici impellenti e incontrollabili, mi ridirigo felice verso le rovine. Da qui in poi la mia visita è stata tutta una lotta contro la peristalsi intestinale, intervallata di tanto in tanto con delle fughe verso il cesso del bar di cui ormai ero azionista di maggioranza. Avrei dovuto indire un consiglio di amministrazione per promuovere l'acquisto di carta igienica più delicata.