Diario inverosimile di un viaggio latinoamericano: Perù, Bolivia, Paraguay, Brasile, Panama, Colombia. 7 paesi in 7 mesi, raccontati fra acidità, demenze varie e responsabilità sociale.
martedì 8 settembre 2009
Si chiude...
Dopo 7 mesi di vita LATINOAMERICANI chiude. Finito il viaggio, questo viaggio, finisce il relativo blog. Dopo aver viaggiato e scritto, dopo aver condiviso ed essermi vantato, a volte vergognato, dopo aver offeso qualcuno, dopo aver cercato di capire perchè si scrive, perchè scrivo, anche se pochi ti leggono. Fortunatamente qualcosa ho capito, ma non è materiale da blog. Me lo tengo per me. Intanto saluto tutti coloro che hanno letto e apprezzato i mille svarioni letterari prodotto della mia mente a volte ingovernabile e della sua trance da tastiera. Quindi grazie a tutti, a Nicola in primis, che nel blog non ha scritto lasciando a me lo spazio di cui forse avevo bisogno per capire e ridimensionare il mio ego, i miei pregi, i miei difetti, i miei complessi, i miei dubbi e le mie paure.
venerdì 4 settembre 2009
Bentornato, Alessandro
sabato 22 agosto 2009
M'informo e mi deformo
sabato 15 agosto 2009
La Guerra dei Mondi
martedì 4 agosto 2009
bye-bye Panamá
martedì 21 luglio 2009
Dolce dormir...
venerdì 17 luglio 2009
Le Priorità
martedì 14 luglio 2009
Panama
Mentre nel 1977 il Presidente Torrijos, forse l'unico vero dittatore illuminato della storia, firmava il trattato di restituzione del Canale con gli Stati Uniti rappresentati dal filantropo Carter, forse l'ultimo essere umano a siedere nella stanza ovale, Kissinger, la Tatcher, Bush (che già lavorava e tramava nelle stanze della CasaBianca) sorridevano amari quando chiamati in causa dall'onesto, quasi ingenuo, presidente Carter. Kissinger, mentre sorrideva, pensava, "col cazzo che ti facciamo rieleggere coglione". E infatti fu fatto. Niente rielezione. Al povero Torrijos, che stava rimettendo in sesto un paese che era uscito, guarda caso, da una dittatura militare iniziata, col beneplacido dei gringos, proprio con i primi aneliti di indipendenza dell'ingrato popolo panameño, toccò la sorte peggiore. Salito sull'elicottero sbagliato perchè mal consigliato da una sua guardia di sicurezza poco interessata alla sua sicurezza, saltò inspiegabilmente in aria poco dopo il decollo. "Chi sarà stato??" dissero tutti. Forse quelli della mala, forse la pubblicità, suggerì Max Pezzali con quella faccia a culo che si ritrova. "Forse Andreotti?" suggerì metà dell'elettorato italiano. No, niente di più facile: fu la CIA. In quei giorni era dura la vita dei presidenti latinoamericani ribelli. Un altro impertinente, tal Roldòs, ecuatoriano, morì poco tempo dopo in circostanze simili. Aveva avuto il coraggio di rivendivare, addirittura con una legge, il diritto di sfruttare le risorse del suo Stato per il beneficio del suo Stato invece che degli Stati Uniti e delle sue corporations. "Ma siamo matti??" disse Reagan, mentre guardava un film western con John Wayne e ordinava un BigMac e una boccia di wiskhy. Il suo vicepresidente, che si chiamava Bush, proprio lui, i film non li guardava, si limitava a scrivere le scieneggiature. La CIA li produceva, con incassi eccezionali. Si faceva pagare di solito con eroina o cocaina, dipendendo da dove venivano distribuiti, se in Afganistan o in America Latina. Che bravo era Bush. Risolto il problema Torrijos, il buon Noriega prese il suo posto e in 8 anni, da essere il vice di Torrijos (quindi, si presume, una persona quanto meno normale), si convertì nel Bin Laden dell'istmo, tanto cattivo nel trafficare droga in direzione nord da meritarsi l'invasione del suo stato. Forse la cocaina che spediva aldilà del Rio Bravo non era buona e questo provocò le ire della CIA, che con la cocaina ci doveva vivere. In quel favoloso anno, il 1989, il presidente degli Stati Uniti d'America era, ma guarda un pò, Bush, proprio lui. A Reagan, ormai, a forza di vedere western, mangiare BigMac e tracannare wiskhy gli era venuto l'Alzaihmer. E a Bush, che nei comizi dichiarava che il mondo era un luogo pericoloso (dimenticandosi di dire che la colpa era sua), la cattiva condotta di Noriega era sembrata una scusa sufficiente per invadere Panama, arrestarlo e cogliere l'occasione per bombardare il quartiere più povero della capitale e consolidare il controllo sul Canale. Era stato consigliato non da alti gradi militari, ma dal suo agente immobiliare. Distruggere per ricostruire, radere al suolo capanne per costruire grattacieli. Moltiplicare il valore. Riprendersi il canale. Speculare, fare soldi. Diventare ricco, potente e creare un altro meraviglioso caraibico paradiso fiscale. IN GOD THEY TRUST. Menomale...
mercoledì 8 luglio 2009
Meglio il Franchi
Ah, dimenticavo, siamo stati a vedere il Cristo Redentor. Che culo. E una orribile partita al Maracaná. Adriano pesa 100 kili ed é inguardabile. Meglio il Franchi.
giovedì 2 luglio 2009
I MATTI
giovedì 25 giugno 2009
Eroi moderni
Filippo sul web:
http://www.elcorolladefilippo.com/
http://unfilteredthink.blogspot.com/
domenica 14 giugno 2009
Sucre, Santa Cruz, Che Guevara e il Paraguay
Da lì ci siamo spostati a Vallegrande, convinti di andare fino in fondo, fino a La Higuera a vedere il luogo dove seppellirono al Chè. Arrivati in paese siamo però stati assaliti dalla decadenza e dalla bruttura del luogo, abbiamo visitato la lavanderia dell'ospedale dove lo esposero mezzo nudo agli occhi del mondo e da dove tentarono invano di distruggere il mito, di umiliarlo, di svergognarlo, creando invece, col martirio, una delle figure cristologiche più rappresentate di tutti i tempi. Chè, uguale rivoluzione. Militare, uguale fascista. Come ci insegna il nostro Papi, quello che siede nei palazzi governativi italiani, i fasci, a volte ma non sempre, di comunicazione non ci capiscono un cazzo mentre sono grandi esperti di Viagra, Cialis, protesi sessuali a pompetta e veline minorenni pronte a tutto. Ma questo non basta a convincere milioni di operai nullatententi italiani a votare qualcun altro.
Una volta deciso che Vallegrande era sufficiente siamo tornati a Santa Cruz e con tempismo perfetto siamo saltati sul primo autobus in partenza per il Paraguay, destinazione Filadelfia. La teoria del "tanto son tutti uguali" ci ha condotto in un autobus super scalcinato ma affidabile, che in meno di una notte e poco più ci ha scaricato nel nulla. Filadelfia se non la vedi non ci credi. Colonia mennonita insediatasi in Paraguay nel 1927, è uno dei centri produttivi più importanti del Paraguay. I mennoniti, fuggiti perchè discriminati da URSS, Canada, Germania ecc. hanno conservato i loro costumi in modo estremista, rifiutando il contatto con la gente indigena e continuando a parlare la loro lingua. Biondi, alti, alcuni giganteschi. Altri, purtroppo, affetti da un impoverimento genetico dovuto alla cattiva abitudine di autorizzare solo matrimoni interni alla comunità. Le donne, come in tutte le società arcaiche e conservatrici, sono costrette a portare il peso della tradizione, e quindi le si vedono vestite in stile contadino degli anni '30. Gli uomini, invece, vestono dei più sobri abiti occidentali. Tutti sembrano usciti da una versione bigotta della Casa della Prateria (non so se hanno fatto una versione porno, ma ne sono quasi sicuro). Come molte sette o minoranze che hanno sofferto segregazione, umiliazioni, razzismo, loro stessi pensano bene di riservare lo stesso trattamento agli indigeni guaranì e non che vivono, anche se non tutti, in uno stato di povertà assoluta.
Dopo una "eccitante" notte a Filadelfia, dove abbiamo conosciuto la couchsurfer olandese Sofia che lavora in una ONG che si occupa di indigeni e vive in quel deserto da ben 8 mesi (è allo stremo) ci siamo incamminati verso Asunciòn. Bisogna preliminarmente dire che il cambio fra Bolivia e Paraguay è dei più estremi. In Paraguay comincia il sudamerica europeo che trova il suo culmine in Argentina e Cile. Mentre la Bolivia è un paese ancora caratterizzato e abitato in maggioranza da nativi, il Paraguay è un paese di bianchi. E la decadenza, la povertà, di un europeo in sudamerica, non trova il conforto della tradizione. Un'anziana boliviana o peruana, per quanto misera, tiene una bellezza negli occhi, nel modo di vestire, nella tradizione che sopravvive. Ad Asunciòn sembra di essere in un paese dell'est ex-comunista. Mi immagino che somigli ad alcune parti dell'Italia una 40ina di anni fa. Certo la maggioranza della popolazione (bianca) parla Guaranì. Ma è una lingua rubata. E non impedisce ai bianchi che parlano Guaranì di detestare o avere comportamenti razzisti con i nativi a cui hanno rubato la terra e anche la lingua.
Asunciòn non mi ha fatto proprio impazzire e infatti l'addio alla città e al Paraguay è vicino. Lo sostituiremo col sempre affascinante Brasile. Forse oggi, forse domani.
mercoledì 10 giugno 2009
Vale un Potosì
Turisti
Ai tempi dell'auge dell'argento si potevano lastricare le strade con lamine di metallo prezioso per abbellire la città durante le feste patronali. Le chiese, i palazzi signorili e tutto quanto appartenesse alle classi abbienti della città erano tappezzate di oro e di argento. Il lusso a Potosì si esprimeva nella sua versione più sfacciata ed impossibile. La quantità di ricchezza che rigurgitava il serro era semplicemente immensa, come immensa era la quantità di manodopera che gli spagnoli reclutavano fra gli indigeni disperati, affamati, illusi. In condizione di pseudo schiavitù erano costretti a turni massacranti in condizioni massacranti. La vita media di un minatore che entrava nei tunnel a 14 anni difficilmente raggiungeva i 35. I polmoni venivano lentamente erosi dalle polveri che provocavano la silicosi. L'organismo indebolito dall'assenza di sonno e alimentazione. Quando ne moriva uno ne entrava semplicemente un altro. Nonostante la chiesa avesse ipocritamente dichiarato che gli indigeni, anche loro, possedessero un'anima, la realtà è che erano usati, anche con il tacito consenso della chiesa, come braccia al servizio dei dominatori, considerati alla stregua di bestie da soma e come esseri viventi senza coscienza e senza diritti.
Entrare nella miniera nel 2009 non può che riprodurre parzialmente quello che poteva rappresentare scendere nelle sue profondità nel 17º secolo. Nonostante il livello di sfruttamento non sia quello di una volta (adesso la maggior parte dei minatori sono organizzati in cooperative) e nonostante non ci sia quel brulichio incessante di operai che doveva esserci secoli fa, l'impatto con la miniera è sconcertante. Ma la visita turistica di 2 ore nei tunnel non può che dare un'idea approssimativa di cosa significhi vivere e lavorare anni in quell'inferno. La polvere, il caldo, il freddo, l'umidità, i rischi innumerevoli legati alle esplosioni e ai crolli, la debilitazione fisica e l'esaurimento mentale che quel lavoro produce con il miraggio irraggiungibile della ricchezza e della prosperità, e quel panorama arido che circonda la città e il serro stesso, e che finisce per inaridire anche la gente consapevole che il saccheggio è ormai finito e che se le multinazionali si sono ritirate è perché ormai non c'è più margine di guadagno accettabile. Questo, adesso, è la miniera di Potosì. Un disastro la cui descrizione attuale sarebbe di molto simile a una cronaca seicentesca, solo senza dame, teatri, arazzi e cavalieri ad abbellire il panorama.
sabato 6 giugno 2009
Cronaca di un disastro
a un uomo che conosce bene il nostro paese. I
bisogni sarebbero le cose. 'Allora diventeranno più
laboriosi' continuò l'uomo astuto. E voleva dire che
anche noi dovremmo utilizzare le forze delle nostre
mani per produrre cose, cose per noi, ma soprattutto
però per il Papalagi. Anche noi dobbiamo diventare
stanchi, grigi e curvi.”
Tuiavii di Tiavea (1998, 33)
La miniera di Potosì, il Cerro Rico, è un monumento a questo schema implacabile di sfruttamento che la società dell'uomo occidentale impone da centinaia di anni a chi è arrivato troppo tardi al saccheggio o a quei popoli la cui filosofia di vita non si compone dei verbi "scoprire, sfruttare, abbandonare" come fa invece la nostra società. L'essere italiani ci da un posto un pò defilato in questa platea di aguzzini ma non per questo ci solleva dalle responsabilità. Ogni volta che compriamo un Cartier, una Ford, il caffè Lavazza, qualunque marca di zucchero, siamo complici della mattanza. Ogni volta che non spengiamo la luce, lasciamo l'auto accesa o il frigo aperto ci sporchiamo la coscienza col sangue di chi non c'entra assolutamente nulla. Ogni acquisto stupido e inutile contribuisce a mandare avanti la macchina dell'insensatezza che è ormai la nostra triste e vuota società perfettamente rappresentata dai Renzi, dai Berlusconi, dai Tronchetti Provera, dai Briatore, dai Ricucci e dalle Noemi. Basta sostituire all'aguardiente tutti i prodotti idioti, inutili e spesso brutti che la pubblicità ci convince essere indispensabili per la nostra riuscita sociale o sopravvivenza psico-fisica (il ricorrente e ossesionante esempio degli occhiali di Dolce&Gabbana - 2 italiani di successo - prodotti da bambini cinesi che guadagnano 1 dollaro al giorno e venduti a 300 € ai giovani d'oggi da Salmoiraghi&Viganò è, come sempre, eccezionalmente calzante). Alla coca, invece, sostituiamo l'icona del successo e realizzazione sociale proposta dal tubo catodico (oggi schermo al plasma) e che spinge, oltre a eserciti di stipendiati ad alzarsi ogni mattina e a votare Berlusconi, anche orde di ragazzine appena 18enni - tristi, vuote, intimamente disperate - ad avere rapporti orali (gli unici possibili a una certa età) con cenciosi e avvizziti membri maschili, purchè essi siano appesi, anche se in modo precario e provvisorio, a corpi di bavosi miliardari di successo. Se no, c'è sempre il Viagra.
Lettura consigliata: Tuiavii di Tiavea (1998). Papalagi, discorso del capo Tuiavii di Tiavea delle isole Samoa. Viterbo: Stampa Alternativa.
Dal Sudamerica, è tutto.
mercoledì 3 giugno 2009
Vivi, nonostante tutto.
venerdì 29 maggio 2009
Cochabamba
lunedì 25 maggio 2009
Lo svedese
venerdì 22 maggio 2009
La Paz
giovedì 21 maggio 2009
EVO - LUTION
Speriamo solo che il popolo italiano non ci metta 500 anni a capire che Berlusconi non è la risposta ai nostri problemi.
domenica 17 maggio 2009
Barzelletta
Detto questo, che chi non appartiene alla meravigliosa terra toscana faticherà a capire, torniamo a parlare della cerimonia che unì il mondo, 4 continenti in un vortice di energia positiva che come altre volte, finita una cerimonia, lascia i partecipanti con un sorriso e una distenzione emozionale che nessun psicofarmaco, nessun psicologo, nessun goal di Gabriel Batistuta abbia mai potuto produrre. A volte, i dribbling di Edmundo, quelli si che aprivano il cielo ma non rifacciamo, come diceva Vasco, un letto ormai disfatto.
Insomma, esperienze, esperienze, esperienze...che ti viene voglia di dire "tutti dovrebbero fare". Sempre che "tutti" siano pronti, sempre che la chiamata dell'istinto sia abbastanza forte da farti fare 10.000 km in cerca di qualcosa che non sai neanche tu che cosa è. E che neanche una volta incontrata puoi riuscire realmente a capire o a spiegare. Ma hai delle idee, che gelosamente custodisci. Dice il curandero che sono come pezzi di un mosaico, e solo il tempo lo può comporre. E l'Ayahuasca. Dice che per arrivare alla saggezza, per non essere schiacciati dalla conoscenza, bisogna radicarsi bene nel mondo presente, quello fisico che ci è dato di vivere. Che se una pianta vuole raggiungere il sole lottando nella selva per la sua sopravvivenza deve avere un fusto forte e delle radici poderose. Vedremo se come diceva il mitico Verdone nell'altrettanto mitico Gallo Cedrone anche a noi sarà dato il privilegio, come il Feroci, di vedere "a luce...". Intanto preoccupiamoci di vivere. E di cercare.