mercoledì 29 aprile 2009

Saturday Night Pig Fever

Casetta stile tirolese di Pozuzo

Dopo la visita lampo a Pozuzo, colonia austriaca dimenticata da tutti fino al 1959 e ormai prossima a festeggiare i 150 anni di vita (dura) il prossimo 28 di Luglio, abbiamo deciso di evitare di addentrarci nella selva in direzione di Puerto Bermudez ma di ripiegare più saggiamente verso Ayacuho, mettendoci da subito sulla strada verso Cusco. La lentezza dei trasporti, Lima, la Cordillera e altri disastri ci hanno fino ad ora fatto accumulare un ritardo di quasi 3 settimane e di questo passo sarà difficile compiere tutti gli obiettivi prefissati. In questo momento ci troviamo a Huancayo, en la Casa de la Abuela, ostello un pò caro presente nella Lonely Planet che ha però il pregio di essere vuoto, sia di clienti che di lavoratori. In questo momento siamo i legittimi padroni di casa, Nico si guarda la TV via cavo mentre io scrocco internet, che per mancanza di vigilanti risulta essere gratis. Per essere qui alle 18.oo siamo dovuti partire alle 4 di mattina da Pozuzo, viaggiare 4 ore per una strada disastrosa con ansiogeni strapiombi di 50 e più metri, dopodichè altre 3 ore in una strada migliore ma attraversando polverosi paesini stile frontiera afflitti da insanabile crisi economica. Giunti finalmente a La Merced siamo saliti su uno splendido bus decorato con foglie di marijuana (?¿) che ci ha portato (a detta di Nicola...io dormivo...) attraverso paesaggi paradisiaci e in un numero imprecisato di ore fino a Huancayo. Domani sera ci muoveremo verso Ayacucho, dove ci attende una notte gratis in casa di Michelle Murray, utente couchsurfing che ci darà ospitalità, dopodichè rumbo al Cusco dove ritroveremo la mitica Victoria che spero ci possa dare alloggio gratis. Tutti insieme piangeremo la partenza di Mike Wannop, il canadese che per motivi economici è docuto tornare a casa.
A Cusco, o meglio a Urubamba, ci aspetta di nuovo e finalmente lo shamano pennuto di cui si parlava qualche post fa, tal Richard Rodriguez, allievo di Solom Tello, curandero novantenne in pensione, uno dei più rinomati di Iquitos. E che l'Ayahuasca ci porti consiglio.

lunedì 27 aprile 2009

Lima, again.


Come tutte le capitali del mondo é centralista, egocentrica, vanitosa, altera, snob. Come molte capitali del mondo possiede un fascino irresistibile.
Tornati a Lima dopo due settimane di montagne, austeritá e vita sana ci siamo di nuovo immersi nella sensorialitá della capitale peruana, per un break etilico durato da lunedí a sabato. Ospiti a casa Power, dovevamo restare un paio di giorni e ci siamo rimasti una settimana, grazie soprattutto ai numerosi sabotaggi che ho messo in atto nei confronti di Nicola che sembrava, anche se in maniera non molto convinta, piú intenzionato di me ad andarsene. E adesso il viaggio riprende, e nel momento esatto in cui scrivo ci troviamo ad Oxapampa in attessa del bus per Pozuzo, dove risiede ancora abbastanza intatta la colonia austro/tedesca che da 150 anni abita questa parte di foresta peruana. E poi Puerto Bermudez e gli Ashaninkas, Ayacucho e le 33 chiese, Cusco e la sua vita notturna.

domenica 19 aprile 2009

i ciuco e le Ande

7 dico 7 varietà di gran turco

2 POESIE per quelli che ancora non si sono messi in viaggio

Se vuoi vedere le valli,
sali in vetta a una montagna,
se vuoi vedere la vetta di una montagna,
sali su una nuvola,
se invece aspiri a comprendere la nuvola,
chiudi gli occhi e pensa. (K. Gibran)

Camminando si apprende la vita
camminando si conoscono le cose
camminando si sanano le ferite del giorno prima.
Cammina guardando una stella
ascoltando una voce seguendo le orme di altri passi.
Cammina cercando la vita curando le ferite lasciate dai dolori.
Niente può cancellare il ricordo del cammino percorso. (Rubén Blades)

venerdì 17 aprile 2009

Operazione Mato Grosso

Arcobaleno su Chacas


Non c'è bisogno di essere stai folgorati sulla via di Damasco per ammirare un religioso e la sua opera. Da tre notti, ormai, siamo ospiti della missione Operazione Mato Grosso, dei Salesiani di Don Bosco. Ed è difficile andarsene. Giunti a Yanama via Yungai, attraversando il passo di Portuachelo a 4700 metri (Nicola era in stato di coma vigile), appena saputo che in paese c'era una missione di italiani abbiamo pensato bene di andare a salutare i connazionali...un pò ci speravo che ci dessero un letto, non lo nascondo, magari pagando qualcosa...ma non mi aspettavo tanto amore. Arrivati nella "casa" ci hanno dato, da subito e come se fosse incredibilmente scontato, ospitalità, cibo, e il giorno dopo un passaggio verso Chacas su una fantastica 4x4 guidata da un personaggio incredibile, tal Diego da Brescia, muratore col vizio del formaggio (farlo) e della grappa (berla). Oltre a questo ama guidare come un pazzo al bordo di dirupi scansando frane e greggi di pecore impaurite. Arrivati, nonostante o grazie a lui a Chacas, abbiamo scoperto che quello che avevamo visto a Yanama no era niente al confronto.



Laboratorio di scultura

Chacas ospita una colonia di italiani, tutti missionari laici dell'OMG (Operazione Mato Grosso), e un religioso, Padre Lorenzo, leader per quello che ho visto della congregazione. Su tutti aleggia la presenza incombente e carismatica di Padre Ugo, che nonostante i suoi 86 anni continua a girellare in jeep per i paesi della sierra. In tutto sono una cinquantina, alcuni con figli al seguito, alcuni sono nati qui, alcuni sono qui da più di vent'anni e parlano quechua. Per loro tutto normale, per noi una sorpresa continua.


Denise y Diego

Il fondatore di questa missione si chiama, appunto, Padre Ugo de Censi da Polaggia, nato il 26 Gennaio del 1924. Sacerdote con vocazione vera, entrato in seminario a sedici anni, organizzò la prima spedizione OMG da Arese l'8 Luglio del 1967 destinazione, appunto, Mato Grosso in Brasile. E da lì si espanse coinvolgendo centinaia e poi migliaia di persone e aprendo missioni in Bolivia, Ecuador, Brasile e Perù. La prima missione in questo paese aprì i battenti nel 1975 e nel 1976 Padre Ugo divenne parroco di Chacas. All'inizio le sole cose che poteva fare erano andare in giro con un ciuchino a parlare coi contandini e dire messa. La popolazione era composta da poveri dimenticati dallo Stato, la maggior parte analfabeta, tutti destinati a una vita di sopravvivenza. Poco più di trenta anni dopo la situazione è leggermente cambiata. Chacas, più che un remoto pueblo delle Ande sembra un borgo toscano restaurato con sterline inglesi. La missione, negli anni e con l'appoggio della rete italiana dell'OMG, ha creato laboratori di scultura del legno, di pittura, di vetreria artistica, di tessitura di tappeti e maglioni creando un numero non quantificabile di professionisti e artisti, ha costruito un ospedale da 70 consulte al giorno con una banca dati di 40.000 cartelle cliniche, una scuola di infermeria e una di archeologia (il lavoro qua non manca...), una società elettrica, la EILICHA, con non so quante microcentrali idroelettriche costruite, gestite e manutenute da Lino, ex elettricista valtellinese, con l'aiuto della gente del posto e con l'appoggio di ingegneri e ditte italiane. Inoltre ha migliorato la produzione agricola della zona, inventato un tipo di patata più produttivo, aperto strade, collegato centri che sarebbero rimasti all'età della pietra, portato lavoro, cibo, soldi, istruzione dove non era arrivata neppure la lingua spagnola. Ha superato gli anni tragici della guerra civile, di Sendero Luminoso e delle stragi dei militari che secondo la contestata Commisione sulla Verità e Riconciliazione costarono 70.000 morti divisi equamente, sempre secondo la Commissione, fra terroristi ed esercito. Durante questo periodo uno dei missionari fu assassinato da Sendero, che contestava i metodi umanitari utilizzati nella zona e che, a detta dei senderisti, ammorbidivano le posizioni contestatrici dei contadini allontanandoli dalla rivoluzione. Si erano però dimenticati, i senderisti, di spiegare ai contadini il significato dei termini rivoluzione, comunismo, socialismo, lotta armata. E se lo fecero utilizzarono metodi brutali come l'indottrinamento forzato di bambini e ragazzi fra i 10 e i 19 anni, o attraverso il sequestro di massa di intere comunità native che costò la scomparsa di numerosi villaggi Ashanikas, costretti a collaborare forzatamente alle attività senderiste e a lavorare per loro, cioè, per la rivoluzione. Naturalmente ha costruito chiese e seminari, ma sarebbe abbastanza stupido criticarli per questo. Insomma, se volete sapere che significa "ero forestiero e mi avete dato un tetto" (parafrasi personale di un verso del Vangelo di Matteo), passate da qui. Perchè loro incarnano veramente questo spirito. Spirito della "carità" vera, gente che ha lasciato tutto per vivere la sua vita in povertà, senza Sky e senza gli occhiali da sole di Dolce&Gabbana (tanto importanti al giorno d'oggi), lontano dal TG1, da Studio Aperto e da Lucignolo, da 90º minuto, da Antonella Clerici, da Afef, da Bruno Vespa, da Bertolaso, da Tronchetti Provera, dal Festival di Sanremo, dall'Inter, da Bonolis, dal Maestro Mazza, da Maurizio Costanzo e da Amici, dall'innominabile moglie di Maurizio Costanzo, da Calderoli, da Schifani, da Nania, dal Governatore della Sicilia (quello grasso di cui ho rimosso il nome). Da Uno Mattina e da Luciano Onder. E da Berlusconi, naturalmente. Lo so, messa così lo si farebbe tutti, ma credo che non sia così facile abbandonare il proprio paese, qualunque esso sia, per venire a vivere in un paesello a 3400 metri sulle Ande a fare il contadino, la vetraia, lo scultore, la pittrice, la casalinga, lo stalliere. Qualsiasi cosa. Scegliere di far nascere e crescere i propri figli qui, vederli imparare il quechua e diventare grandi così lontani da quell'italianità che anche se sempre aspramente criticata da tutti alla fine nessuno rinnega e alla quale alla fine tutti tornano. Anche i giramondo più incalliti. Si potrebbero criticare per tante cose, sicuro, ma credo che di fronte al bene che fanno sarebbe immensamente stupido.
Tutto questo non significa che da domani pregherò al mattino e alla sera, andrò a messa la domenica, mi confesserò, sconsiglierò l'uso del preservativo o catechizzerò gli omosessuali. Significa sempicemente quello che ho scritto. Che ci sono realtà sconosciute che vanno semplicemente riconosciute per quello che sono. Incredibili atti di generosità. Amen.

L'Ospedale di Chacas




Una delle Centrali Idroelettricche della Missione

domenica 12 aprile 2009

Finalmente liberi!

Niños Carazinos
Finalmente la luce. Via da quella città fredda e piovosa, dove la sovrappopolazione di turisti ha trasformato anche la vecchietta più dolce in un'esattrice ruvida e screanzata, via da Huaraz, attraverso una strada accidentata fortunatamente percorsa nell'oscurità, così da non vedere strapiombi, voragini, frane, allagamenti, terremoti, tsunami e squadre di narcotrafficanti e paramilitari bruciare i villaggi che gli negano appoggio logistico. Insomma, la cosidetta "Sindrome di Mancora" (che si verifica quando nonostante un posto ti faccia assolutamente schifo finisce che ci resti progioniero una settimana bestemmiando e chiedendoti il perchè di quella inedia) se n'é andata, ci ha abbandonato, e di nuovo liberi, felici e per assecondare le voglie "into the wild" della coppia andaluso-canadiense ci siamo diretti verso nord, a Caraz, che la guida Lonely, alle volte di un'inaffidabilità sconcertante, definiva come una ridente località montagnosa risparmiata dall'ultimo terremoto.
Claustrofobia
In effetti, stavolta la guida aveva ragione. Una Plaza de Armas molto carina, alcuni siti archeologici interessanti, un clima temperato nonostante i 2300 metri di altitudine e soprattutto un sabato sera animato, dopo la muffa sofferta nell'incomprensibile Huaraz, rinchiusi nell'albergo umido e incompiuto di Frank Beteta. Seguendo le indicazioni della padrona dell'Hotel San Marco, 8.5 soles per notte (2 euro), una figlia di emigrati italiani di Acerra, ci siamo diretti nella Taberna di Caraz, bar discoteca frequentata da ogni sorta di personaggio locale, dall'ubriaco molesto al fighetto. Eravamo solo quattro "gringos", l'attrazione della serata. Probabilmente in tutto il paese eravamo in sei, con gli occhi puntati addosso. Non poteva esserci maniera migliore per salutare la coppia improbabile che domani si lancerà alla conquista del trekking di Santa Cruz (4 giorni bestemmiando sotto la pioggia dormendo all'addiaccio e domandandosi, Carlos soprattutto, "ma chi me l'ha fatto fare"). Ma la vita è anche questo, fare cose assurde per evitare poi di chiedersi perchè da giovani non so sono fatte, o per esorcizzare la morte, gli anni inesorabili, l'ansia dell'invecchiamento, specialmente se puoi viaggiare solo un paio di settimane come nel caso dell'andaluso errante. Nel caso mio e di Nicola, sempre più assente dal blog (ormai neanche glielo dico più), non c'è nessuna fretta visto che viaggeremo mesi e mesi e mesi. E mesi. L'appuntamento con i survivors è fra 5 giorni a Chavin de Huantar, dove nella migliore delle ipotesi ci attende, insieme a rovine millennarie, uno shamano pennuto in una cerimonia di San Pedro (google it).
Nel frattempo io e Nicola ci avviamo a colpi di combi (micro-autobus scassati) nella stessa direzione. Un trekking motorizzato meno ecologico ma certamente più sociale. Ieri, infatti, siamo stati a NON visitare la laguna di Paròn, occupata militarmente dai cittadini del paese a causa di una vertenza con la società canadese che gli sta sottraendo l'acqua per alimentare la centrale idroelettrica di Huallaca. Abbiamo camminato e camminato per ore, privi di cibo e acqua (siamo 2 genii), fino a capire che non ce l'avremmo mai fatta a raggiungere la laguna prima del tramonto. Quindi, stremati dall'altura e dalla incipiente pioggia, siamo tornati indietro in un sentiero fangoso, abbiamo mangiato due caciotte fresche da una vecchia per la strada e poi abbiamo preso un "taxi" (eravamo 11 in macchina) fino a Caraz, dove ci siamo strafogati con una copia niente male di Jamon Serrano, più somigliante a una porchetta o a un arista salata. Turismo eco-socio-gastronomico.
Oggi ci dirigiamo invece verso Yungay, cittá fantasma rasa al suolo dai cataclismi che di tanto in tanto flagellano tutto la regione andina. Da lí ci dirigeremo verso Yanama attraversando un passo di montagna a 4700 metri circa. Nicola, che soffre un pó l'altura, avrà visioni mistiche, folgoranti e forse si metterá a parlare quechua. Dopodiché, dopo aver visto la laguna di Llanganuco scenderemo verso il villaggio di Yanama. Domani chissà.

La NON Laguna di Paron

sabato 11 aprile 2009

Huaraz

Ancora ignari
Prigionieri. Non si riesce ad andare via da Huaraz. Sarà l'altura che rende ogni decisione faticosa, sarà la pioggia mista al freddo che ti leva la voglia di fare qualsiasi cosa che non sia dormire e mangiare. Sarà che sembra impossibile sapere se il tragitto che vogliamo fare per raggiungere Chavin de Huantar è percorribile o no. Fatto sta che siamo ancora a Huaraz, circondati da orde di turisti famelici a causa della Semana Santa, provenienti da tutto il mondo. In 5 giorni siamo riusciti a passare un pomeriggio in una stazione termale scalcinata (Monterrey) a 11 km dalla città e a fare un trekking siucida di un pomeriggio, a la Laguna di Churup, fra pioggia, vento, neve, nebbia e un sentiero che a ongi passo si faceva sempre più impraticabile. Il canadese, figlio della neve e del freddo, nato con gli scarponi e le racchette, avanzava fiducioso nella nebbia mentre io lo seguivo con qualche dubbio in più. Distante dal gruppo, Carlos, l'andaluso errante, sognava sole e olio di oliva mentre dentro di se bestemmiava copiosamente in più di un idioma. Arrivati a 100 metri in linea d'area dalla laguna, il sentiero è diventato una scarpata di roccia che incoscientemente io e il canadese abbiamo superato in bello stile. Carlos, rimasto indietro, ha fatto lo stesso, ma con la tipica espressione del "chi cazzo me l'ha fatto fare". Arrivati a una 50ina di metri dalla laguna, finalmente a vista, sentivo il cervello che se ne andava, e con lui le poche forze rimaste, un pò colpa dei 4200 metri di altitudine un pò della depressione strisciante che mi stava invadendo a causa del sentiero sempre più improbabile. Nicola e Victoria avevano ceduto già da un pezzo tornando alla base, mentre io mi domandavo ma come cazzo fanno gli alpinisti ad andare a 8000 metri?? Cosa li spinge ai confini del siucidio?? Dove trovano la forza morale di avanzare?? Fatto sta che era arrivato il momento di dire basta, quindi ho educatamente mandato affanculo il canadese che avanzava imperturbabile nel fango e fra le rocce, e insieme all'andaluso ormai tirste e contrito siamo tornati indietro da dove eravamo venuti, convinti, erroneamente, che se l'avevamo fatto in salita lo potevamo fare anche in discesa. In effetti l'abbiamo fatto, a tratti facendo rafting sul culo, a tratti con l'acqua ghiacciata del torrente che ci infradiciava impietosamente, con le mani congelate, ma con la ferma convinzione che saremmo arrivati in fondo. Una volta raggiunta la fine del pezzo di sentiero difficile, inondato stavolta da una euforia incontenibile dovuta in parte alla carenza di ossigeno, in parte al fatto di essere ancora vivo, mi sono fatto quasi tutto il sentiero correndo, felice, con le ginocchia congelate, completamente bagnato dalla testa ai piedi.

mercoledì 8 aprile 2009

Matrimonio a 5 stelle

Gli sposi

Olè!

Piovuti a Lima come meteoriti incandescenti, privati scientificamente del sonno per giorni e giorni come in un esperimento di resistenza psichica alla veglia (che non abbiamo superato), accolti in una reggia da una principessa milionaria e catapultati in meno di 24 ore al matrimonio dei mitici Francesco e Carmen. Che dire? Atmosfere da sogno, un'ospitalità eccezionale, un menú ottimo e soprattutto troppe ma troppe bevande alcoliche. I peruviani, in effetti, si distinguono per la passione a volte incontrollata per birra, pisco, whisky, rum etc., e l'italiano, quando debitamente stimolato (per esempio se è tutto gratis), li segue fino ai confini dell'incoscienza e non dice mai di no proponendo associazioni e mix ai limiti dello psichedelico (pisco+vino+rum+wiskhy). Dopodichè si lamenta, l'italiano (in questo caso più di uno...non sto parlando solo di me!!!), per le inenarrabili figure di merda, per le troppe frasi sopra le righe formulate dall'ormai incontrollabile lingua e per i ripetuti assalti ai limiti della molestia sessuale sofferti da parte di disperate 40enni ninfomani e sfacciate (quanto orribili, direi). Che ognuno, comunque, si assuma le sue responsabilità.


Una cosa è certa, l'esperienza del matrimonio oltre oceano regalatami dall'amico Zati è stata indimenticabile e unica, considerato anche che non ci vedevamo da qualcosa come 10 anni, ma la coincidenza di trovarmi in Perù nel giorno più importante della sua vita andava onorata, e direi che ci siamo riusciti.

Onorando il matrimonio, ormai ubriachi.

Adesso inizia il viaggio vero, prima tappa Huaraz, cittá a 3000 metri colpita anni fa da un terremoto di cui porta ancora le tracce, immersa nella meravigliosa Cordillera Blanca, circondata da una natura ineguagliabile e popolata da gente che per ora sembra molto semplice e ospitale (tocchiamoci le palle). Appena arrivati ci siamo riuniti con la coppia argentino-canadiense Mike e Victoria, i quali ci avevano mollati a Tarapoto per godersi un pó di meritato sole nelle spiagge di Huanchaco, vicino a Trujillo. Dopo un conciliabolo di un paio d'ore con parole sconnesse e fiatone dovuto all'altura in cui abbiamo vagliato le possibilità di essere ospitati a scrocco anche a Huaraz (e sempre grazie al mitico couchsurfing.com), ci siamo avviati verso casa del famigerato Frank Bettetta, guida alpina con antenati friulano-calabresi e una nonna indigena. Mentre camminavamo per la Plaza de Armas, i miei occhi panoramici hanno riconosiuto il Frank a cavallo di un centauro, prontamente l'abbiamo placcato e quasi obbligato a fornirci ospitalitá, di qualsiasi tipo e qualitá fosse. Il Frank, trovatosi di fronte a 5 cenciosi viaggiatori, ci ha offerto il 2º piano del suo Hotel in costruzione, non ancora terminato ma provvisto di finestre e bagni. Eccezionale. Una volta installati siamo andati al mercato a mangiare un tipico brodo di pecora con stufato di pecora, dopodiché abbiamo comprato un formaggio di pecora, abbiamo girovagato per le bancarelle che vendono abiti di lana di pecora (e di alpaca), e poi a casa per un sano riposino di 5 ore. Svegliatici e in condizioni mentali approssimative siamo andati in un supermercato affamati e come sempre quando fai compere affamato finisci per svaligiare gli scaffali. Arrivati nel nostro favoloso hotel ci siamo abbuffati all'inverosimile fino a cadere beati nelle braccia di Morfeo. La prima notte è andata via liscia, grazie al mio nuovo sacco a pelo invernale (se non mi rubavano l'altro non lo avrei comprato nuovo e avrei sofferto un freddo schifoso...). Vediamo che sarà del secondo giorno.

Chi siamo, dove siamo.


venerdì 3 aprile 2009

Triste Epilogo (con sorpresa): 2ª parte


The Interview

Una città vera. Chiclayo. Ma raggiungerla ci è costato caro. Da moyobamba a Nueva cajamarca abbiamo viaggiato stipati in un furgoncino, 40 minuti di passione fino al polveroso terminal degli autobus (vedi foto). Da lì, un cencioso bus pieno di mocciosi piangenti ci ha portati, dopo 18/20 ore di zig-zag nella selva alta, nell'amena localita di Chiclayo, non prima di aver superato un altro ponte crollato.
Arrivati alla stazione e dopo una colazione sostanziosa ci dividiamo. Nicola va a vedere il museo de Lambayeque che avevo già visto un paio di mesi fa, io mi do al cazzeggio. Riunitici per pranzo andiamo a visitare il sempre folkloristico mercato degli stregoni, dove si vende qualsiasi tipo di medicina naturale, compresi pittoreschi afrodisiaci sconsigliati ai deboli di cuore. Dopo aver comprato un paio di feticci impagliati, un bastone del potere Chavin, 4 boccette talismano con finti cristalli di quarzo, 3 grammi di marijuana, un San Pedro alto 3 metri e una pozione Cupido per l'amico Nicola ci avviamo stremati e carichi come muli verso la stazione, per l'ultimo desideratissimo autobus, finalmente comodo, che ci porterà in 13 ore e per la modica cifra di 40 soles (10 €) nella capitale peruana.
Finalmente un viaggio comodo, cibo a bordo, un bagno funzionante, un solo bambino che piange ma solo per una decina di minuti. Addirittura una hostess gentile a bordo. Piango di gioia. I due psicologi italiani, per l'occasione vestiti uguali e leggendo lo stesso libro visionario (La Serpiente Cosmica di Jeremy Narby) cadono in un sonno conciliatorio.
Giunti a Lima alle 9 in punto cerchiamo un taxi e ci dirigiamo diretti alla mia lavanderia di fiducia a Lima (ebbene si, ho una lavanderia di fiducia a Lima) e poi a casa della fantomatica Nancy del couchsurfing, che ci ha promesso ospitalità nella sua "casetta" di San Isidro. Io sapevo che San Isidro era un quartiere residenziale, ma in questo caso è assolutamente doveroso dire che la realtà ha superato di gran lunga ogni più rosea aspettativa. Per farla breve, l'amica Nancy vive in un palazzo di 10 piani che è tutto suo, noi stiamo al 5º. Il palazzo è tutto vetri, con garage al piano terra, un numero indecifrabile di inservienti e di gente varia che vive lì. Ci accolgono con la colazione, ci "invita" a fare la doccia e poi ci da pure un passaggio a Miraflores a bordo della sua jeep fiammante. Ho ancora un'espressione di stupore incredulo sulla faccia. Insomma, dopo mille peripezie, disgrazie, sfortune e mocciosi piangenti, finalmente la ricompensa che meritiamo. Adesso non resta che capire dove come e quando si svolgerà il matrimonio dell'amico Francesco Zati che non vedo da 10 anni, e che per strani incomprensibili scherzi del destino si sposerà domani (questo è sicuro) proprio a Lima.

Foto dell'umile appartamento di Nancy

Segue vista dalla finestra al 5º piano


Finalmente un pò di culo.



giovedì 2 aprile 2009

Triste Epilogo

L'ultima puntata della soap ha sancito definitivimamente la mia sconfitta: Coki 1 - Ale 0

Ma bisogna guardare alle cose con il giusto spirito e con quel pizzico di sano fatalismo lasciatomi dalla cerimonia ayahuascuera di un paio di settimane fa, di cui parlerò a tempo debito. Diciamo, che tutto quello che è successo sarà successo per un motivo. E guardiamo avanti. Non per questo non merita descrivere un pò il mio ultimo indimenticabile giorno tarapotino.

Svegliatici in condizioni pietose a un'ora impossibile per andare a prendere il bus, arriviamo alla stazione e ci informano, come già sospettavamo, che la partenza è rimandata alle ore 13 cause sollevazione popolare a Moyobamba, ma la faccia a trota dell'impiegata dello sportello non promette niente di buono. Appresa la triste notizia, Nicola decide di tornare in albergo a rivendicare la stanza 51 (o area 51, a causa delle attività radioattive di origine intestinale dei giorni precedenti), nostra fino appunto alle ore 13, e di passare lì, in quell'angusta stanzetta le sue ultime ore nel distretto di San Martin. Io, invece, animato dal mio eccezionale fatalismo, leggo il ritardo come un segno del destino e mi avvio fiducioso, ottimista e anche un pò coglione verso il distretto di polizia di Morales. Giunto a destinazione, chiedo del mitico Teniente Uribe il quale, giustamente, non c'è. Con incredibile velocità (dopotutto è di fronte a una celebrità...) lo sbirro che mi riceve tira fuori dalla tasca una forma primitiva di cellulare e dopo un breve contatto audio col Teniente mi informa che sarà lui, un ciccione zoppicante sulla 40ina, ad accompagnarmi a San Antonio de Cumbaza per l'ultimo spietato raid. A completare il trio, e a trasformare l'adesso coppia di sbirri in una parodia sudamericana di Stanlio&Olio, si unisce un giovane poliziotto anoressico, che per essere l'ultimo della catena alimentare (forse per questo è così magro) deve sottostare agli ordini perentori del ciccione. Naturalmente la trasferta sarà a mie spese. Io rido. E' più forte di me.

Arrivati in paese ormai saluto tutti come se fossi a casa mia. Visitiamo la casa del ladrone, dico a sua moglie che il marito è un demente bastardo (parole testuali), e la moglie annuisce concorde. Scuoto la testa e penso ai due figli del disgraziato. Andiamo a trovare la gobernadora che ci informa che non ci sono novità, e dopo facciamo un salto a parlare con una tipa che il giorno prima, alla televisione, aveva detto aver visto il Jorge vendere qualcosa della refurtiva. Nega, la stronza. Io la guardo con espressione di perdita improvvisa di pazienza e ce ne andiamo. Nel frattempo l'anoressico si è comprato delle specie di baccelli dolci e sgranocchia felice quello che probabilmente sarà il suo pasto giornaliero, offrendomene un pò. In effetti sono buoni.

Ormai chiara la prospettiva di sconfitta, decidiamo di tornare a Tarapoto, lo sbirro mi fa 1000 promesse in un certo senso sincere e montiamo sull'auto. Scesi al distretto prendo un mototaxi e la prima cosa che mi chiede il tassita è se avevo recuperato lo zaino...mi aveva visto in TV. Eccezionale, continuo a ridere.

Finalmente ho rinunciato allo zaino e mi sento più leggero. Finalmente ci aspettano le 24-28 ore di autobus di lusso, vizio giustamente concessoci dopo le peripezie dei giorni precedenti. Arrivati alla stazione saliamo sul bus, ci accomodiamo, stiamo per partire...ma no!!!!! La strada è bloccata, i manifestanti non mollano, e probabilmente hanno ragione loro, cazzo!!! Dopo aver analizzato le possibile alternative (passare da sud ed essere rapinati-rapiti-scippati) decidiamo intraprendere il viaggio attraverso la rotta abituale ma a colpi di piccoli spostamenti. Iniziamo con un auto da Tarapoto a Moyobamba, di un 30enne amante della musica tamarra, con un auto tamarra e il bagagliaglio ridotto alla capienza di una trousse a causa della presenza di un subvoofer stellare. Arrivati a Moyobamba dopo 2 ore di rally per una strada accidentata, prendiamo un mototaxi fino a dove possibile e dopo a piedi fino al picchetto.

Moti insurrezionali Moyobambini

Lì veniamo ricevuti trionfalmente dai manifestanti, un centinatio, assiepati sotto un tendone bucherellato. Ci dicono che dobbiamo stare lì almeno mezz'ora, 20 minuti, poi 10. Alla fine ce ne andiamo dopo 2 minuti augurandogli la vittoria col pugno alzato. Gli sbirri ci guardano male e promettono di prenderli a bastonate (davvero). Da lì saliamo su una jeep di un generoso e poi un'altra buon anima ci da un passaggio fino al terminal. Qui comincia un'altra partita a scacchi con la geografia nord-peruana. Dopo 2 secondi e una rapida quanto parziale analisi costi-benefici compriamo un biglietto per Jaen, ma pentitici subito lo cambiamo per uno fino a Pedro Ruiz, e la commessa borbotta. Dopo altri 5 minuti troviamo un altro biglietto per Nueva Cajamarca e da lì a Chiclayo, per la modica cifra di 35 soles, un affarone. Vado dalla commessa e gli chiedo indietro i soldi. Sbuffa, scuote il capo, accena che non ha spiccioli per rimborsarmi ma fa l'errore di aprire il cassetto e in un secondo adocchio i due pezzi da 20 soles pronti per esserci restituiti. Glielo faccio notare con tono antipatico, lei si arrende all'evidenza e mentre me ne vado, ancora sbofonchia. Ma vaffanculo và, cogliona, penso fra me e me. Finalmente abbiamo la prospettiva di riuscire davvero ad uscire dalla selva e dal buco nero tarapotino. Finalmente raggiungeremo una città vera.

Fine prima puntata.