venerdì 29 maggio 2009

Cochabamba


Mentre il Dottor Carlos Arturo Martinez Rubiano mi fissa con i suoi occhietti etilici e il mento sporco d'unto degli spaghetti allo scoglio che non sa mangiare e pronuncia, scandendo, "my people is the hope of the world", io, con espressione dubbiosa, penso all'indio Kayapan che sobriamente e in tono ormai rassegnato diceva: "L'indio non deve bere. Mai". Perchè se no, come capitato a lui, è capace di mille aberrazioni, fino alla violenza carnale.
La Bolivia si rivela complessa, eterogenea e interessante. Appena arrivati a Cochabamba, accolti a braccia a perte dalla coppia da sit-com Lorenzo&Leire, ci siamo diretti da EVO, a Pocona, perdendocelo per un'ora. Se fossimo arrivati un'ora prima avrei avuto la mia foto col "Presidente", definito da alcuni "dittatore" ma amato dai più come un liberatore. Se statunitensi, inglesi, spagnoli, tedeschi, francesi e giapponesi hanno governato la Bolivia, spremendola, per 500 anni, è abbastanza inspiegabile tutto il polverone che solleva la possibilità che Evo Morales, con la riforma della costituzione, governi per 20 anni. Ma nei giornali non lavorano i minatori, e nelle televisioni non trovano impiego pastori e contadini. Che però, non dimentichiamocelo, sono molti di più.
Tornati a Cochabamba ci siamo goduti la città, sorprendentemente accogliente, per ben 6 giorni, con il suo caotico incomprensibile mercato, la pizza del mitico Aniello al ristorante "Sole Mio" (con finale di Champions inclusa davanti a un piatto di spaghetti ai frutti di mare), la partitella domenicale in quota (2500 m.s.l.m.) al campetto dietro lo stadio, le melanzane sott'olio di Lorenzo e le discussioni femministe con la Leire. Seguite dagli immancabili e comici siparietti polemici. Viene prima l'ambiente o la parità dei sessi? Secondo me la ricerca e l'educazione...che ne penserà EVO?

lunedì 25 maggio 2009

Lo svedese


La Paz, qual nome meno appropriato. Non che sia una città in guerra, ma sicuramente non si respira pace e tranquillità. La Paz è infatti un grandissimo mercato a cielo aperto dove l'economia informale e sommersa supera di gran lunga il volume d'affari di quella ufficiale. Inutile che Evo passi col cappello a chiedere che la gente paghi le tasse perchè la mamacha (leggasi "mamaccia", che significa "mammina") che vende empanadas all'angolo di strada si è dimenticata di comprare il registratore di cassa.
Arrivati dall'accidiosa Isla del Sol, dove sarebbe stato opportuno riprodurre la scena tanto amata del film "Non ci resta che piangere" dove gli attoniti Benigni e Troisi vengono vessati da un cieco e impietoso esattore toscano di frontiera, siamo piovuti in una riproduzione in tono sudamericano di Kolkata (ex-Calcutta). Senza guida Lonely, finalmente, e senza nessuna nozione sulla città ci siamo messi nelle mani di un obeso poliziotto turistico che vista la miseria in cui versavamo, e mentre ciucciava gaudente un lecca-lecca rosso fuoco, ci ha dirottato verso il meraviglioso "Hostal Cactus" en Calle Jimenez, dove al costo irrisorio di 27 Bolivianos (3 euri) cada uno abbiamo potuto prendere possesso di una splendida camera tripla con vista cesso. Fuori dalla nostra porta, una cenciosa tenda nascondeva una lussuosissima singola. Dopo aver girovagato qualche ora per le bancarelle e per le stradine affolate del centro siamo tornati all'albergo deprimendoci per l'età media da giardino d'infanzia degli ospiti. Con la testa fra le mani anche a causa di un pungente dolor de cabeza siamo andati a letto e mentre dormivano affondando nel materasso consunto e ormai irrimediabilmente concavo, verso le 3 del mattino, siamo stati svegliati dal delirio di un gruppetto di ragazzini che tornavano ubriachi dall'ennesima notte brava. Ed ecco qua che comincia l'avventura paceña del povero trio di trentenni italo-argentino. Uno svedese colored di approssimativamente 20 anni versava in uno stato di delirio alcolico a mio avviso irrecuperabile. Gli "amici", fra cui una stronzissima bionda tatuata e che Dio la castighi, invece di portarselo in camera con loro hanno deciso saggiamente che a ciucciarsi il marrone dovessero essere quei coglioni anziani degli italici che a causa del sonno in progress non si sarebbero mai svegliati per protestare a modino. E infatti così è andata. Mentre la Giselle si lamentava energicamente ma senza alzarsi dal letto, con dei contundenti "I don't care if he's drunk", io e Nico continuavamo a dormir pur consapevoli dell'accadimento. Le ore sucessive si sono svolte fra i deliri poliglotti dello svedese, le sue pisciate sulla nostra porta, conati di vomito da posseduto satanico e qualche accenno di protesta sempre e solo della povera Giselle, che tra l'altro dormiva vicino alla porta. Alzatomi come sempre per primo, verso le 8, sono uscito e sono stato investito dall'odore di piscio rancido svedese. Il povero Cristo versava in condizioni da internato psichiatrico grave, seduto su una seggiolina con le gambe fra le mani. Aveva un occhio ancora funzionante, che mi guardava fisso ma vuoto di significato mentre l'altro aveva dichiarato l'indipendenza dal cervello piroettando qua e là nella suite (quella con la tenda...). Saltata la pozza di urina del simpatico negretto sono andato in bagno. Tornato dal cesso (nome più appropriato), il giovane ha iniziato a blaterarmi della roba incomprensibile fino all'imperdonabile tentativo di entrare in camera nostra. A quel punto mi sono incazzato di brutto, ho chiamato la tipa della reception, ho minacciato di non pagare, ho svegliato la bionda tatuata infamandola a dovere, ho fatto un pò il diavolo a 4 e mi sono levato dai coglioni ma non dopo che la versione afroscandinava di Nicolas Cage in Via da Las Vegas non aveva lasciato l'albergo. Che simpatica avventura.
Tutto ciò ci ha fatto velocemente divorziare da La Paz, ma non a ragione. Infatti, il pomeriggio al mercato, il pranzo con la tipa panameña che vive in città e che avevamo conosciuto nell'Isola degli Esattori e la visita a un'altra parte della città meno movimentata e più carina mi avevano fatto pentire di aver già comprato il biglietto per Cochabamba, ma ormai il dado era tratto (si dice dado, non dardo, dal latino "Alea iacta est"). Alle 22.30, puntuali come degli svizzeri, siamo arrivati al Terminal di Plaza Antofagasta, siamo saliti su un autobus stellare con dei seggiolini meravigliosamente grandi e molto più comodi della media peruana e ci siamo incamminati verso Cochabamba.

venerdì 22 maggio 2009

La Paz

Meglio EVO

Mentre la Isla del Sol doveva ricaricarci le batterie per permetterci di affrontare al meglio la disastrosa quanto affascinante La Paz, siamo arrivati qua sulle ginocchia. Dopo le 3 notti al freddo e al gelo sull'isola degli scontrosi boliviani di frontiera, dopo aver dormito una notte addirittura 14 ore senza ricorrere a nessun psicofarmaco nè sostanza proibita, dopo non aver fatto una mazza per 3 giorni siamo arrivati stanchi, affliti da virus intestinali e con un sottile quanto fastidioso giramento di coglioni. Io, personalmente, mi sento affranto dall'aver lasciato dopo 8 mesi il Perù. Ormai ero a casa. Adesso iniziamo un viaggio di circa 3 settimane in Bolivia, dal salar de Uyuni alla tomba del Che (ormai non più tale dopo la riconsegna - forse immeritata - della salma a Cuba). Il pellegrinaggio nei luoghi dove Ernesto Guevara terminò i suoi giorni solo e tradito da tutti, nonostante le idee politiche del sottoscritto sempre fluttuino nell'iperspazio dell'incomprensibilità, rappresenta un atto doveroso di chiunque creda nella giustizia sociale, di chiunque abbia avuto in un momento della sua vita un ideale un pò più grande degli occhiali di Dolce&Gabbana, che come ho avuto già modo di sottolineare tempo fa sono un complemento insostituibile del giovane d'oggi. Sempre più giovane, idiota, incosciente e berlusconiano. Sarebbe molto meglio se, come sempre suggerisce Beppe Grillo alla sua figlia adolescente, si facessero un pò più di canne e vedessero un pò meno Maria De Filippi, che fra l'altro è un essere esteticamente orripilante. In aggiunta e come se non bastasse intrattiene relazioni sessuali dicono piuttosto perverse con Maurizio Costanzo. No, dico io! Da vomito.
Ma parliamo di Matteo Renzi: no, meglio di no. Già una volta il mio avvocato (che preferisce mantenere l'anonimato) mi consigliò di smussare alcune dichiarazioni spigolose che avevo pùbblicato su un acido blog ormai caduto in disuso. La pigrizia. Il consiglio è votare per sè stessi. Ognuno scriva il suo nome e cognome. Dopotutto, Firenze è dei fiorentini (cioè di chi vive, lavora e soffre a Firenze, paga le multe, non ha l'auto blu, non va alle feste di partito a sbavare dietro insulse fiche marce, non si può permettere il cappoto stile politico socialista anni 80 e non ha un ciuffo del cazzo che sembra uscito da un odioso film di Jerry Calà). Firenze non appartiene ai bavosi rampolli arrampicatori sociali gavettari impazienti sgomitanti con gli abbaglianti sempre accesi, con l'ansia di arrivare che spero un giorno li porti a schiantarsi a 200 km all'ora, pieni di coca e con una stupida velina al fianco (che fa finta di apprezzare le insulse doti sessuali del compagno di turno), contro un muro di cemento armato dell'alta velocità. Ho finito.

giovedì 21 maggio 2009

EVO - LUTION


Come non voler bene a quest uomo così semplice, così buono e così incomprensibile quando si rivolge alle masse in idioma Aymara misto Quechua con sfumature di Sardo e Altoatesino? Evo, Evo Morales, il discepolo di Chavez, qualcuno dice il suo lustrascarpe. Entrati in Bolivia l'impatto è forte e la sensazione è immediata: la gente ci crede. "Evo cumple" "El cambio avanza". Dopo 500 anni uno più uno meno di sfuttamento selvaggio da parte di Spagnoli, Inglesi, Statunitensi, Tedeschi, Olandesi è arrivata la riscossa. Come dargli torto? Dopo secoli di umiliazioni, dopo secoli di depredamento selvaggio delle incredibili risorse naturali del sottosuolo boliviano, dopo milioni di morti nelle miniere, nelle guerre inutili e perse, dopo aver speso vite rincorrendo le cause altrui e arricchendo paesi già ricchi, dopo aver finanziato il capitalismo "occidentale", dopo aver sopportato dittature sanguinarie. Dopo essere stati calpestati come popolo, privati della dignità, ridotti alla fame, alla miseria, all'ignoranza. Dopo essere stati privati del futuro, della speranza. Dopo questi ed altri scandali la gente si è abbastanza rotta i coglioni, e si è ribellata votando un cholo, un indio, uno come loro. Che parla la loro lingua, porta i loro vestiti, difende i loro diritti.

Speriamo solo che il popolo italiano non ci metta 500 anni a capire che Berlusconi non è la risposta ai nostri problemi.

domenica 17 maggio 2009

Barzelletta

Che ci fanno un giapponese, un australiano, una argentina e due italiani,con un curandero peruano in una capanna nei dintorni di Urumbamba? Una cerimonia di Ayahuasca, ma è chiaro!!! Che è l'Ayahuasca?? Dicono sia la "madre".
Dopo la discesa dal paradiso machupichano, felici della vita e apparentemente sani siamo scesi dall'auto alla stazione di Urumbamba, abbiamo salutato i compagni di viaggio israeliane comprese, abbiamo detto arrivederci al giapponese Taka, che aveva accettato il nostro invito per la cermionia del giorno dopo e ci siamo andati a cercare una stanza. Dopo ferrea quanto impietosa trattativa con l'oste abbiamo strappato una super stanza con 2 letti più un materasso aggiunto, TV via cavo, doccia iperfunzionante e una massaggiatrice thai nel cassetto del (mio) comodino a un prezzo dignitisossimo. Poi una cena leggera, stavolta per davvero e senza trattare il prezzo e a letto dritti dritti per recuperare le fatiche del turismo convenzionale e ricaricare le pile in vista del grande giorno, della cerimonia con "LO" shamano. Richard Rodriguez. Alcuni penseranno, "Ale, ce lo siamo giocato, era un bravo ragazzo". Niente di più falso, tranquilli. Sono in perfetta forma, fisica e mentale, la mia stella mi segue e l'angelo custode pure. Ho fiducia, ma tranquillo non ci sto mai, perchè "tranquillo" sta a Sollicciano (noto carcere fiorentino) con "scioltezza", e inoltre gli trombano pure impietosamente la moglie che ha lasciato a casa.
Detto questo, che chi non appartiene alla meravigliosa terra toscana faticherà a capire, torniamo a parlare della cerimonia che unì il mondo, 4 continenti in un vortice di energia positiva che come altre volte, finita una cerimonia, lascia i partecipanti con un sorriso e una distenzione emozionale che nessun psicofarmaco, nessun psicologo, nessun goal di Gabriel Batistuta abbia mai potuto produrre. A volte, i dribbling di Edmundo, quelli si che aprivano il cielo ma non rifacciamo, come diceva Vasco, un letto ormai disfatto.
Insomma, esperienze, esperienze, esperienze...che ti viene voglia di dire "tutti dovrebbero fare". Sempre che "tutti" siano pronti, sempre che la chiamata dell'istinto sia abbastanza forte da farti fare 10.000 km in cerca di qualcosa che non sai neanche tu che cosa è. E che neanche una volta incontrata puoi riuscire realmente a capire o a spiegare. Ma hai delle idee, che gelosamente custodisci. Dice il curandero che sono come pezzi di un mosaico, e solo il tempo lo può comporre. E l'Ayahuasca. Dice che per arrivare alla saggezza, per non essere schiacciati dalla conoscenza, bisogna radicarsi bene nel mondo presente, quello fisico che ci è dato di vivere. Che se una pianta vuole raggiungere il sole lottando nella selva per la sua sopravvivenza deve avere un fusto forte e delle radici poderose. Vedremo se come diceva il mitico Verdone nell'altrettanto mitico Gallo Cedrone anche a noi sarà dato il privilegio, come il Feroci, di vedere "a luce...". Intanto preoccupiamoci di vivere. E di cercare.

giovedì 14 maggio 2009

Machu Pichu

swarovski_toilet

Andare al Machu Pichu è una specie di febbre da cui sono affette davvero e non a mezzo stampa un numero indefinibile di persone in tutto il pianeta. Questo si riflette sui metodi, fra l'Indiana Jones e il Collonello Goebbels, utilizzati per raggiungerlo. Sveglia la mattina alle 3.50 un'ora più adatta per coricarsi che per svegliarsi. Niente colazione. Camminata di 1 ora in salita su degli scalini fatti da un cieco storpio con la cataratta e l'alito cattivo. Coda di 10-15 minuti fermi davanti alla biglietteria al freddo e al gelo che se non ti sei portato un cambio t'ammali di sicuro. Alterco di Aliosha (me) con una guida locale che fa un pò troppo il ganzo. Causa: arrivato povero Aliosha ultimo a causa forse di insufficenza toracica, ho saltato tutta la coda in bello stile italiota per raggiungere l'amico Nico che investito dal richiamo dell'ancestro passato pennuto era arrivato praticamente primo. Poi si entra, ma se non hai captato stanchezza permettendo che lo zaino non deve essere più di 20 lt. ti fanno tornare indietro al guardaroba dove un guardarobiere con un emisfero vigile e uno no stile delfino ci mette 2 ore per sistemare il tuo zaino dove poi lo perderà di sicuro. Slalom fra le israeliane con zaini da 21 litri in su che stanno litigando coll'inerme bigliettaio a colpi di iracheno e arafatte. Poi corsa, no, camminata sostenuta barra marcia verso l'entrata del Wayna Pichu, altro monte, altra salita di un ora in condizioni che neanche Manolo gli fa voglia di salirci e ti manda affanculo in altoatesino stretto. Altra coda. Gli israeliani sono tesi perchè non sono primi. Infatti, sulla scia di Nicola, un italiano barbudo con la diarrea latente è da solo al comando pronto per intraprendere l'allucinante scalata. Ma ecco che improvvisamente, un dolce richiamo giungente dal basso mi spinge a una amara quanto doverosa riflessione. Ma chi cazzo me lo fa fare a me che quasi moio per arrivare fino a qui, mezzo disitratato e con un giramento di coglioni da record, di farmi un'altra ora di ascesa agli inferi per vedere il Machu Pichu dal Wayna Pichu che è pure uno scioglilingua del cazzo e mi viene il mal di testa solo a pensarci??? Saluto educatamente Nicola e la Giselle, che fra una cosa e un'altra adesso non si ricorda nemmeno più chi è stremata dall'allucinante maratona e vado trionfante verso il bagno. A pagamento, per fortuna non in dollari se no gli cagavo sulla porta. I prossimi 30 minuti della vicenda sono indubbiamente ricchi di spunti narrativi molto coloriti ma per esigenze di buon gusto preferisco omettere i particolari della mia relazione strettissima con il cesso, per fortuna pulito, del bar del Machu Pichu. Ormai non più tanto pulito.
Portata a termine la mia missione, finalmente libero, credevo, da bisogni fisiologici impellenti e incontrollabili, mi ridirigo felice verso le rovine. Da qui in poi la mia visita è stata tutta una lotta contro la peristalsi intestinale, intervallata di tanto in tanto con delle fughe verso il cesso del bar di cui ormai ero azionista di maggioranza. Avrei dovuto indire un consiglio di amministrazione per promuovere l'acquisto di carta igienica più delicata.

martedì 12 maggio 2009

Finalmente, Cusco.



Finalmente, le mille peregrinazioni di cui siamo stati protagonisti ci hanno portato al Cusco, la cittá delle cittá, narrata da chiunque come luogo mitico dove si incrociano si intrecciano e si intersecano i destini di tutti i viaggiatori in transito in Perú, dal giapponese fotografico al punkabbestia in cerca di sostanze esotiche. E qui, effettivamente, c'é di tutto. Turismo culturale, turismo alcolico, turismo sessuale. Basta scegliere, se no si possono fare anche tutti insieme. Appena arrivati, come sempre, un colpo di culo ci ha proiettato a casa di Wilman, utente stella del couchsurfing con una casa che sembra un ostello peró gratis. Alla comitiva italiota si era aggiunta inoltre l'argentina che tutto perde e molto dimentica, Giselle da Rosario, che vive a Barcelona e fa la fotografa o la cuoca sulle barche, dipendendo come gli gira. Tutti insieme allegramente abbiamo preso possesso di due stanze nella mansione di Wilman e dopo qualche ora di riposo mi sono gettato da solo alla conquista del Cusco. Mentre girellavo per le belle strade del centro non ho potuto rinunciare all'attrazione della sommossa. Di fronte a me, infatti, un gruppo molto nutrito di persone volevano prendere d'assalto il Convento di Santo Domingo, costruito dagli spagnoli sopra le macerie di un antico tempio Inca. Non ho potuto resistere e mi sono gettato in mezzo macchina fotografica alla mano. Successivamente, ho scoperto che i facinorosi non erano altro che le guide turistiche del Cusco in lotta contro il governo e assolutamente molto piú incazzate dell'ormai denutrito proletariato italiano che nonostante tutto vota Berlusconi "perché é bello", citando una delle tante vecchie rincoglionite che gli stringe la mano quando l'Imperatore visita i sudditi terremotati e non. Tranquilli, vi dará le sue case. A me, se é possibile, quella in Sardegna, grazie.


Dopo aver rischiato un lancio di lacrimogeno e qualche morbida manganellata nel "groppone" me ne sono andato a fare un giretto per San Blas, quartiere in salita esplorabile solo bestemmiando e col fiatone. Mentre camminavo allegramente per le stradine ciottolose stile Albaicin granadino odo giungere dalla mia sinistra strane parole in un italiano incerto. Giratomi curioso vedo una tipa parlare con un cane e quindi, sempre piú curioso e mai che mi facessi i cazzi miei, domando chi dei due fosse italiano o se entrambi appartenevano al bel paese. La ragazza, seria, mi risponde che il cane parla italiano mentre lei é argentina di Buenos Aires, che lavora nel bar alle sue spalle, che il padrone suo fidanzato é peruano ma ha vissuto 14 anni in Italia e che quindi ha avuto la brillante idea di insegnare l'idioma italico al perro. Mentre mi saluta mi invita alla serata reggae della notte stessa.

Inconsapevolmente e involontariamente avevo appena finito di mettere una pietra gigante sopra le poche possibilitá che avevo (e che chiunque ha) di vedere il Cusco da buon turista quale ioin  realtá sarei!!! Sapevo infatti che Nicola sarebbe stato felicissimo della serata reggae e inoltre l'italo-peruano incuriosiva. La notte stessa ci rechiamo quindi al locale del tipo, chiamato "7 Angelitos", in compagnia di uno slovacco balbuziente piú buono della mollica di pane raccattato in casa di Wilman. Giunti nel bar, dopo aver attivamente partecipato all'happy hour, ci sono bastati "20 minuti 20" per diventare le mascottes del Walter (l'italo-peruano) che fra un Pisco, un Cuba Libre e un pó di veleno, tutto gentilmente offerti dalla casa (cioé da lui medesimo) ci ha raccontato tutte le sue peripezie romane. Da cameriere a gelatataio a Re del Cusco. Un mito. La prima sera siamo andati via in ginocchio e sembrava giá abbastanza, la seconda siamo tornati a casa strisciando sui gomiti e la terza in ambulanza. Scherzo. Quasi. Ma come si fa a rifiutare la benevola generositá del grande Walter??? Infatti non l'abbiamo fatto, figurati.
Dopo il terzo giorno, in condizioni abbastanza pietose entrambi, abbiamo deciso che era l'ora di vedere il Machu Pichu. Ma come?? Fortunatamente l'attivo Nicola con la dimenticona argentina si erano sbattuti e chiedendo al Wilman (che, furbescamente, fa la guida turistica) avevano comprato 3 biglietti per Idroelectrica che é, lo giuro, il nome del paesello che sta sotto Aguas Calientes che é l'atro paesello, un pó piú sú, raggiungibile solo a piedi o in treno da cui si parte, a piedi o in bus, verso il Machu Puchu. Se a voi questa spiegazione puó sembrare confusa non vi immaginate cosa sia andare al Machu Pichu. Un prova di forza, di pazienza, di tolleranza razziale. Perché?? Da Cusco siamo stati stipati in un bus a 11 posti in compagnia nell'ordine di: una coppia di slovacchi, 4 israeliane viziate e insopportabili e una coppia di canadesi super educati. Piú noi 3. Tutto il viaggio é stato uno show di richieste infantili e con tono inquisitorio delle israeliane, che stavano quasi per far perdere la pazienza all'autista, il quale per uno strano scherzo del destino si chiamava Noé. Arrivati con le palle assolutamente gonfie a causa delle 4 simpatiche ragazze a Idroelectrica ci siamo rifiutati di salire sul treno dove saremmo stati costretti ad assistere ad altri show e a incontrare altri odiosi giovani turisti fighi rompicazzo in arrivo da tutto il mondo. E siamo andati a piedi, 9 km lungo la ferrovia in compagnia di un gruppetto di spagnoli e di una coppia di italiani. La camminata é durata 2 ore e una volta a Aguas Calientes abbiamo preso una camera in un Hotel decentissimo quanto vuoto a causa, come tutti sostengono, della inesistente Influenza suina o come cavolo si chiama in Italia. Stremati, stanchi e improvvisamente antisemiti siamo andati a cercare da mangiare e dopo lunga trattativa con il padrone ci siamo seduti. Io ho sempre sostenuto che non si tratta per il cibo, perché é pericoloso...e infatti, ancora reduce dagli eccessi cusqueñi, io mi sono beccato una bella diarrea, dissenteria o come piú semplicemente diciamo in toscana: la cacaiola. Che bello. Giá mi presagivo il Machu Pichu con gli strizzoni di stomaco e le corse al bagno, tutto in un corollario di bestemmie e imprecazioni in 3 lingue...

To be continued........


mercoledì 6 maggio 2009

Errata Corrige

Secondo il principio che sbagliando s'impara, che l'importante è partecipare, che il gioco è bello quando dura poco e che, come diceva il mio amico Giano al liceo (se lo ricorderà..?) "la coerenza è dei mediocri", ho apportato delle doverose correzioni al post su Operazione Mato Grosso. Le correzioni riguardano le cifre relative alle vittime del confronto esercito-sendero fra il 1980 e il 2000, ma anche alcuni commenti fatti dal sottoscritto e che, alla luce fra le altre cose della visita fatta al Museo della Memoria di Ayacuho, con tanto di colloquio con Maribel, avvocato che lavora nel museo come volontaria, è doveroso correggere. Adesso il post ha un contenuto più veritiero e rispecchia maggiormente quelle che sono le mie idee, sempre e comunque in continua evoluzione. Nei prossimi giorni pubblicherò anche il post relativo alla visita al suddetto museo. Un saluto a tutti, belli e brutti, e anche ai coerenti. Ma non vi annoiate mai?
link al post:

lunedì 4 maggio 2009

Huancayo, ma anche no.

Margarita, la cuoca

Ancora traumatizzati dal soggiorno a Lima e dopo la visita lampo nella selva tirolese di Pozuzo, ci siamo diretti in direzione di Huancayo. Da Pozuzo ci aveva assalito la voglia di lanciarci nella foresta in direzione nord, arrivare in jeep fino alla colonia austrotedesca di Codo de Pozuzo, da lì salire su una lancia in direzione Puerto Bermudez e metterci alla ricerca dello sciamano pennuto. Ma alla fine, fatti due conti, era una minchiata colossale. A quest'ora saremmo ancora là ad ammazzare zanzare e a lottare contro il dengue. Quindi, siamo saliti su una improbabile combi, nei posti peggiori, e ci siamo fatti la strada fino a Oxapampa (tre ore di strapiombi infernali) e da lì, dopo una colazione dalla vecchia austroperuana che ci aveva sfamati il primo giorno, abbiamo preso un'altra combi (il bussino a 15 posti nominali stile wolkswagen...) direzione Tarma, definita dalla Lonely "la perla delle ande". Arrivati nella perla delle ande, dopo tipo 12 ore di viaggio estenuante con le ginocchia puntate nella schiena del passeggero di fronte (in Perù sono alto...), dopo aver dormito con la testa ciondolante il più possibile e averla picchiata un numero notevole di volte nel finestrino, nel montante, nella mamacha alla mia sinistra, dopo aver agognato l'arrivo ore ore e ore, non ce l'abbiamo proprio fatta a scendere a Tarma. La perla delle ande, maledetta lonely, si è rivelata una polverosa cittadina stile frontiera, e noi eravamo troppo stanchi per darle una seconda opportunità. Inoltre il sedile cencioso del bus, dopo ore con il culo incollato al seggiolino di legno della combi di turno con schienale a 90º, mi sembrava un materasso matrimoniale ortopedico con lenzuola di seta, e non era assolutamente possibile farmi smettere di russare. Che bello. Quindi abbiamo proseguito la corsa fino a Huancayo. E lì siamo scesi per dormire almeno una notte in un letto vero. Pigri entrambi, con un insanabile desiderio di comodità e sperando di incontrare segni di civiltà che annacquassero l'esclusiva vita matrimoniale degli ultimi giorni, io e Nicola ci siamo diretti veloci come fusi verso l'ostello lonely, e dopo una fallimentare trattativa con la tipa ci siamo rimasti. Era vuoto. Si chiama la "Casa de la Abuela" e non ne vale proprio la pena, a parte la possibilità di scroccare internet di frodo per mancanza totale di vigilantes. La mezz'ora gratis che ci hanno regalato si è trasformata in mezza giornata più o meno. A Huancayo ci è costato uno sforzo tremendo andare a visitare qualcosa...del resto siamo rimasti solo 24 ore, dedicate quasi completamente alla gastronomia. Nell'ordine ci siamo sparati: Causa rellena (una specia di torta di patate ripiena) con insalata di broccoli e cipolline, panino con el Jamon che non è prosciutto ma una specie di porchetta, Chicharron de chancho (maiale fritto...una roba afrodisiaca, con patate e cipolle sempre) e per terminare in belleza un arroz Chaufa 5 Sabores (una riso cinese ai 5 sapori che quasi schianto). Insomma, stiamo ingrassando. Incredibile.

Da Huancayo, alle nove di sera del giorno dopo, siamo saliti su uno splendido autobus direzione Ayacucho. E qui, finalmente, dopo giorni di down il viaggio ha ripreso vigore e tutto per merito dell'incomparabile Michelle Murray. Statunitense di Portland, Oregon, che ci ha spiegato essere lo stato più polemico rompicoglioni e izquierdista di tutti gli USA, dove Bush non entra neanche coi baffi finti perchè gli fanno un culo così e non si possono permettere di spendere milioni in sicurezza per quell'idiota (parole sue). In effetti ce ne siamo accorti. Già il buon Mike ci aveva spiegato che tutta la costa west del nord-america, da Vancouver a San Diego, è popolata da hippies antiproibizionisti democratici con una insanabile passione per la marijuana. Ne abbiamo avuto riprova. E devo dire che ci siamo anche riconciliati un pò col popolo USA, che non è costituito solo da Condoleeza Rice e Tom Cruise. Meno male.
Il soggiorno è stato tutto all'insegna degli stereotipi nazionali, con gli italiani, definiti "cooking machine", sempre intenti a deliziare le padrone di casa con i più succulenti manicaretti. Alla fine son già tre notti che siamo qui, a cazzeggiare. E la città te lo richiede. Un sole eccezionale, non piove quasi mai, le strade sono sempre piene di gente intenta a passeggiare e a far niente, l'architettura è interessante, coloniale certo, ma l'atmosfera è calda e accogliente e anche la gente sembra molto amichevole, inoltre la casa di Michelle è uno spettacolo e le padrone di casa, colte da compassione, ci hanno pure comprato un materasso un pò più grande...solo dopo averci preso per il culo sonoramente per aver condiviso un materasso a una piazza. Che carini.
Insomma, la città del terrorismo tutto sembra meno ciò che ha tristemente rappresentato negli anni di Sendero. La gente sembra avere veramente voglia di dimenticare quegli anni, di ripartire e di vivere un pò più allegramente, senza pensare alle marce rivoluzionare di quel pazzo di Guzmàn, agli slogan maoisti e all'iconografia disgustosa stile culto della personalità nordcoreana con cui riempiva mura e volantini. Ciò che resta, è il narcotraffico, testimoniato dalla ingiustificabile presenza di cambisti. Se non ci sono turisti (per colpa della guerra) da dove arrivano tutti questi dollari? Dalla selva. In uno dei paesi con la polizia più corrotta di tutto il sudamerica è probabilmente un problema senza possibilità di soluzione.
Stasera ce ne andiamo, 20 ore di strada allucinante direzione Cusco. Lì sì che il turismo ci farà rimpiangere la tranquillità ayacuchana.