giovedì 14 maggio 2009

Machu Pichu

swarovski_toilet

Andare al Machu Pichu è una specie di febbre da cui sono affette davvero e non a mezzo stampa un numero indefinibile di persone in tutto il pianeta. Questo si riflette sui metodi, fra l'Indiana Jones e il Collonello Goebbels, utilizzati per raggiungerlo. Sveglia la mattina alle 3.50 un'ora più adatta per coricarsi che per svegliarsi. Niente colazione. Camminata di 1 ora in salita su degli scalini fatti da un cieco storpio con la cataratta e l'alito cattivo. Coda di 10-15 minuti fermi davanti alla biglietteria al freddo e al gelo che se non ti sei portato un cambio t'ammali di sicuro. Alterco di Aliosha (me) con una guida locale che fa un pò troppo il ganzo. Causa: arrivato povero Aliosha ultimo a causa forse di insufficenza toracica, ho saltato tutta la coda in bello stile italiota per raggiungere l'amico Nico che investito dal richiamo dell'ancestro passato pennuto era arrivato praticamente primo. Poi si entra, ma se non hai captato stanchezza permettendo che lo zaino non deve essere più di 20 lt. ti fanno tornare indietro al guardaroba dove un guardarobiere con un emisfero vigile e uno no stile delfino ci mette 2 ore per sistemare il tuo zaino dove poi lo perderà di sicuro. Slalom fra le israeliane con zaini da 21 litri in su che stanno litigando coll'inerme bigliettaio a colpi di iracheno e arafatte. Poi corsa, no, camminata sostenuta barra marcia verso l'entrata del Wayna Pichu, altro monte, altra salita di un ora in condizioni che neanche Manolo gli fa voglia di salirci e ti manda affanculo in altoatesino stretto. Altra coda. Gli israeliani sono tesi perchè non sono primi. Infatti, sulla scia di Nicola, un italiano barbudo con la diarrea latente è da solo al comando pronto per intraprendere l'allucinante scalata. Ma ecco che improvvisamente, un dolce richiamo giungente dal basso mi spinge a una amara quanto doverosa riflessione. Ma chi cazzo me lo fa fare a me che quasi moio per arrivare fino a qui, mezzo disitratato e con un giramento di coglioni da record, di farmi un'altra ora di ascesa agli inferi per vedere il Machu Pichu dal Wayna Pichu che è pure uno scioglilingua del cazzo e mi viene il mal di testa solo a pensarci??? Saluto educatamente Nicola e la Giselle, che fra una cosa e un'altra adesso non si ricorda nemmeno più chi è stremata dall'allucinante maratona e vado trionfante verso il bagno. A pagamento, per fortuna non in dollari se no gli cagavo sulla porta. I prossimi 30 minuti della vicenda sono indubbiamente ricchi di spunti narrativi molto coloriti ma per esigenze di buon gusto preferisco omettere i particolari della mia relazione strettissima con il cesso, per fortuna pulito, del bar del Machu Pichu. Ormai non più tanto pulito.
Portata a termine la mia missione, finalmente libero, credevo, da bisogni fisiologici impellenti e incontrollabili, mi ridirigo felice verso le rovine. Da qui in poi la mia visita è stata tutta una lotta contro la peristalsi intestinale, intervallata di tanto in tanto con delle fughe verso il cesso del bar di cui ormai ero azionista di maggioranza. Avrei dovuto indire un consiglio di amministrazione per promuovere l'acquisto di carta igienica più delicata.

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