sabato 11 aprile 2009

Huaraz

Ancora ignari
Prigionieri. Non si riesce ad andare via da Huaraz. Sarà l'altura che rende ogni decisione faticosa, sarà la pioggia mista al freddo che ti leva la voglia di fare qualsiasi cosa che non sia dormire e mangiare. Sarà che sembra impossibile sapere se il tragitto che vogliamo fare per raggiungere Chavin de Huantar è percorribile o no. Fatto sta che siamo ancora a Huaraz, circondati da orde di turisti famelici a causa della Semana Santa, provenienti da tutto il mondo. In 5 giorni siamo riusciti a passare un pomeriggio in una stazione termale scalcinata (Monterrey) a 11 km dalla città e a fare un trekking siucida di un pomeriggio, a la Laguna di Churup, fra pioggia, vento, neve, nebbia e un sentiero che a ongi passo si faceva sempre più impraticabile. Il canadese, figlio della neve e del freddo, nato con gli scarponi e le racchette, avanzava fiducioso nella nebbia mentre io lo seguivo con qualche dubbio in più. Distante dal gruppo, Carlos, l'andaluso errante, sognava sole e olio di oliva mentre dentro di se bestemmiava copiosamente in più di un idioma. Arrivati a 100 metri in linea d'area dalla laguna, il sentiero è diventato una scarpata di roccia che incoscientemente io e il canadese abbiamo superato in bello stile. Carlos, rimasto indietro, ha fatto lo stesso, ma con la tipica espressione del "chi cazzo me l'ha fatto fare". Arrivati a una 50ina di metri dalla laguna, finalmente a vista, sentivo il cervello che se ne andava, e con lui le poche forze rimaste, un pò colpa dei 4200 metri di altitudine un pò della depressione strisciante che mi stava invadendo a causa del sentiero sempre più improbabile. Nicola e Victoria avevano ceduto già da un pezzo tornando alla base, mentre io mi domandavo ma come cazzo fanno gli alpinisti ad andare a 8000 metri?? Cosa li spinge ai confini del siucidio?? Dove trovano la forza morale di avanzare?? Fatto sta che era arrivato il momento di dire basta, quindi ho educatamente mandato affanculo il canadese che avanzava imperturbabile nel fango e fra le rocce, e insieme all'andaluso ormai tirste e contrito siamo tornati indietro da dove eravamo venuti, convinti, erroneamente, che se l'avevamo fatto in salita lo potevamo fare anche in discesa. In effetti l'abbiamo fatto, a tratti facendo rafting sul culo, a tratti con l'acqua ghiacciata del torrente che ci infradiciava impietosamente, con le mani congelate, ma con la ferma convinzione che saremmo arrivati in fondo. Una volta raggiunta la fine del pezzo di sentiero difficile, inondato stavolta da una euforia incontenibile dovuta in parte alla carenza di ossigeno, in parte al fatto di essere ancora vivo, mi sono fatto quasi tutto il sentiero correndo, felice, con le ginocchia congelate, completamente bagnato dalla testa ai piedi.

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