sabato 6 giugno 2009

Cronaca di un disastro

Una volta era verde. Adesso è un groviera.


“'Dobbiamo crear loro dei bisogni', ho sentito dire
a un uomo che conosce bene il nostro paese. I
bisogni sarebbero le cose. 'Allora diventeranno più
laboriosi' continuò l'uomo astuto. E voleva dire che
anche noi dovremmo utilizzare le forze delle nostre
mani per produrre cose, cose per noi, ma soprattutto
però per il Papalagi. Anche noi dobbiamo diventare
stanchi, grigi e curvi.”

Tuiavii di Tiavea (1998, 33)

Il gioco è relativamente semplice: l'uomo bianco, il Papalagi, arriva dove il suo mondo non ha ancora messo piede. Introduce la "moneta" e il "lavoro". Dice all'indigeno che per ottenere l'una si deve rassegnare all'altro. Poi riempe i negozi di aguardiente, mettendogli un prezzo arbitrario. La sera, al ritorno dalla miniera, fabbrica o piantagione, fa in modo che l'indigeno, il cui organismo non è assolutamente abitutato all'alcol, si distrugga il corpo e la mente con quel veleno. La mattina gli riempe la bocca di foglie di coca e lo rimanda nella miniera, nella fabbrica o nella piantagione. Questo fino a che il suo fisico, debilitato dal troppo lavoro e dalla scarsa alimentazione, non si decomponga in vita.
La miniera di Potosì, il Cerro Rico, è un monumento a questo schema implacabile di sfruttamento che la società dell'uomo occidentale impone da centinaia di anni a chi è arrivato troppo tardi al saccheggio o a quei popoli la cui filosofia di vita non si compone dei verbi "scoprire, sfruttare, abbandonare" come fa invece la nostra società. L'essere italiani ci da un posto un pò defilato in questa platea di aguzzini ma non per questo ci solleva dalle responsabilità. Ogni volta che compriamo un Cartier, una Ford, il caffè Lavazza, qualunque marca di zucchero, siamo complici della mattanza. Ogni volta che non spengiamo la luce, lasciamo l'auto accesa o il frigo aperto ci sporchiamo la coscienza col sangue di chi non c'entra assolutamente nulla. Ogni acquisto stupido e inutile contribuisce a mandare avanti la macchina dell'insensatezza che è ormai la nostra triste e vuota società perfettamente rappresentata dai Renzi, dai Berlusconi, dai Tronchetti Provera, dai Briatore, dai Ricucci e dalle Noemi. Basta sostituire all'aguardiente tutti i prodotti idioti, inutili e spesso brutti che la pubblicità ci convince essere indispensabili per la nostra riuscita sociale o sopravvivenza psico-fisica (il ricorrente e ossesionante esempio degli occhiali di Dolce&Gabbana - 2 italiani di successo - prodotti da bambini cinesi che guadagnano 1 dollaro al giorno e venduti a 300 € ai giovani d'oggi da Salmoiraghi&Viganò è, come sempre, eccezionalmente calzante). Alla coca, invece, sostituiamo l'icona del successo e realizzazione sociale proposta dal tubo catodico (oggi schermo al plasma) e che spinge, oltre a eserciti di stipendiati ad alzarsi ogni mattina e a votare Berlusconi, anche orde di ragazzine appena 18enni - tristi, vuote, intimamente disperate - ad avere rapporti orali (gli unici possibili a una certa età) con cenciosi e avvizziti membri maschili, purchè essi siano appesi, anche se in modo precario e provvisorio, a corpi di bavosi miliardari di successo. Se no, c'è sempre il Viagra.

Lettura consigliata: Tuiavii di Tiavea (1998). Papalagi, discorso del capo Tuiavii di Tiavea delle isole Samoa. Viterbo: Stampa Alternativa.

Dal Sudamerica, è tutto.

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